martedì 3 maggio 2016

BENVENUTI SULLA TERRA



(Questo è quello che io considero un po' il mio "manifesto" di pensiero. Scritto dodici anni fa e ancora valido.)



-Preambolo-

Quattro miliardi e mezzo di anni.
Questa, più o meno, è l'età del nostro sistema solare.
Ed è anche, all’incirca, l’età del nostro pianeta. La Terra. Il terzo dal sole. 


Gli esseri umani sono comparsi da poco tempo rispetto all’età della Terra e nella loro forma attuale da ancora meno.  
Senza scendere troppo nel dettaglio, l’uomo moderno (Homo sapiens sapiens) è apparso tra la fine del Paleolitico e l’inizio del Mesolitico. 

Gli archeologi e gli antropologi ci insegnano che la Storia come la conosciamo diventa tale, e quindi smette di essere Preistoria, con l’avvento delle prime forme di scrittura. Circa, senza essere troppo pignoli, 3500 anni fa. 

Le caratteristiche principali della specie di primati a cui apparteniamo sono la grande intelligenza, la capacità di adattamento, la laboriosità e, ultima ma non ultima, la preponderante aggressività.


-Fine del preambolo.-



Benvenuti sulla Terra, cari terrestri.  


Pare che questa palla che gira attorno al Sole se la cavasse egregiamente anche prima della nostra comparsa.
Si, è vero, catastrofi ne ha subite parecchie (i dinosauri ne assaggiarono qualcosa), ma tutte assolutamente naturali. 

In fondo, un asteroide che ti centra in pieno, lo spostamento dell’asse di rotazione o l’inversione dei poli per un pianeta sono cose normali. Che poi le specie che lo abitano possano o meno subirne conseguenze, insomma, fa parte del grande gioco della vita (e della morte). 

Ma perché Madre Terra stava bella tranquilla anche senza di noi? Piuttosto semplice, ma per quelli di voi che si intestardiscono sull’utilità dell’Uomo, farò un esempio: 

se piove e noi lasciamo aperte porte e finestre di casa permettendo all’acqua di entrare, siamo poco accorti, ma se prendiamo dei secchi per buttare dentro più acqua allora siamo scemi.

Semplificando: questo pianeta una volta era azzurro e verde. Oggi è un bel po’ grigio. In senso letterale.

Se nessuno ve l’ha mai detto: Benvenuti sulla Terra! 


Non mi meraviglio che non dedichiate mai un pensiero al “sasso cosmico” che ci ospita, del resto avete costantemente problemi ben più gravi a cui pensare, no?
Però, prendiamoci qualche minuto e facciamo un giretto. 

Volete?
E andiamo.

- Ad una stima approssimativa datata Luglio 2010, le specie viventi che abitano Casa Nostra sono circa 1,7 milioni
Lo sottolineo per i distratti: questo numero è da considerarsi parecchio al di sotto di quello reale, perché rappresenta le specie che abbiamo classificato
Vuol dire che ce ne sono innumerevoli che ancora devono essere scoperte.
Infatti, sembra che la forbice da considerare come attendibile sia tra le 7 e le 20 milioni di specie (si arriva a calcolarne fino a 100 milioni, ma sono comunque ipotesi).
Però, 1,7 milioni è ugualmente un bel numero, non trovate? 
Bene, considerate che di questa cifra incompleta noi rappresentiamo 1.
Proprio nel senso di uno, del numero 1.
1 contro 1,699,999 di specie classificate.
Tenetelo a mente questo rapporto, dopo vi servirà.


- Il delicato sistema che permette la vita sulla Terra è regolato da diversi fattori. 
Giusto per non essere tacciato di pedanteria vi accennerò poche cose: la distanza dal Sole, la massa del pianeta, il suo campo magnetico, l’equilibrio dell’atmosfera, la presenza di acqua.
Tenete a mente anche questi dati, torneranno utili.


- Alla domanda «Esistono altri mondi con presenza di vita nell’universo?»  la maggior parte degli studiosi non recalcitranti o fossilizzati sul concetto fumoso di creazionismo (un dedalo di allucinanti corridoi verbali mistico-religiosi che non portano a un accidente) risponderanno che:
«È  improbabile che la vita si sia sviluppata solo sulla Terra».
Il perché è presto detto.

Solo nella nostra galassia esistono circa 100 miliardi di stelle, una discreta parte delle quali sono simili al nostro Sole; 
nell’universo conosciuto (da noi, cioè pochino) si stima ci siano miliardi di galassie. A voi le debite proporzioni.
Quando scendiamo nel dettaglio, con gli amici astronomi, salta fuori che non è ancora stato individuato un solo pianeta vicino simile alla Terra (a parte Marte, certo, però se escludiamo l’incommensurabile fortuna di scoprire qualche microrganismo, possiamo dire che forse Marte era simile alla Terra. E comunque, era.)
Quindi?
Quindi conosciamo solo il nostro, per ora. Ricordatelo.


- In ogni periodo della storia della Terra, dal momento della comparsa della vita, c’è stato cibo per tutti. 
E quando non c'è stato, per disastri, mutamenti climatici, catastrofi e quant’altro, comunque qualcuno si è salvato dalla mazzata.
La Terra ha continuato ad andare avanti per la sua strada, rimettendosi in sesto e dando spazio, e cibo, ai nuovi arrivati nel panorama vivente.
Anche questo facile concetto non va tralasciato.


Molto bene. Siete annoiati?
Nessun problema, sono sicuro che se accendete la televisione ci sarà sicuramente qualche televendita interessante o magari l’ultima ondata di sano gossip che non aspetta che voi. 

Se invece avete voglia di continuare a stare qui con me, vi introdurrò al passo successivo. 
Quello dove comincerete a capire il senso della frase:

BENVENUTI SULLA TERRA.

Faccio io gli onori di casa, ma solo perché, essendo anche mia e non essendoci nessuno disponibile oggi, mi sembra educato non lasciarvi soli. 
E poi, caspita, vi ho invitati io! 

Non aspettatevi fronzoli e fiocchetti però. Da adesso in poi le cose si fanno serie, molto più serie di quanto non siano state finora. 
Perché va bene che mi sono preso l’onere (e l’onore) di farvi da anfitrione, ma è anche ora di guardare le cose come stanno.

Pronti?


Un gatto, appostato dietro un albero, vede avvicinarsi un topo. 
Il gatto si distende, si rende quasi invisibile, e resta in attesa. Ha fame e sa che il momento è ormai arrivato.
Il topo, dal canto suo, non è proprio sicuro, ma d’altronde è affamato anche lui, e deve cercare del cibo.
Quando si trova alla giusta distanza, il gatto scatta dal suo nascondiglio e dopo un brevissimo inseguimento agguanta il topo. Con una zampata lo uccide, poi lo mangia.
Si chiama sopravvivenza, ed è una legge di natura.


Un uomo sta guidando la sua macchina in cerca di un parcheggio. Lo trova e, senza curarsi che c’era qualcun altro in attesa, posteggia l’auto. 
Il tizio in attesa scende dalla sua macchina e gli va incontro protestando, arrabbiato, e nasce un alterco. 
Le parole e i toni si esasperano e i due uomini iniziano a picchiarsi.
Risultato: uno dei due rimarrà a terra pestato dall’altro. 

Si chiama violenza, ed è una legge umana.

Nel mondo animale vige la legge del più forte. 
Una legge che segue anche l’essere umano. 
Il problema sorge su ciò che spinge a seguire questa legge.

Come detto prima, gli animali di tutte le specie seguono un istinto primario che è dettato dalla sopravvivenza. Non c’è una ragione astrusa o filosofica per cui uccidono, aggrediscono, divorano, azzannano. Rispondono solamente alla loro natura di prede e predatori.
Alla loro posizione nell'ecosistema.

Nella preistoria anche i nostri progenitori hanno risposto a questa legge. Circondati com’erano da una natura selvaggia, tentarono in tutti i modi di sopravvivere: uccidendo per mangiare e uccidendo per non essere uccisi.

Lentamente, nel corso del tempo, le cose sono via via cambiate. L’Uomo prese coscienza del suo potenziale, del suo ingegno, e iniziò a imporre la sua supremazia. Parallelamente, si rese conto che la violenza (nelle sue forme più variegate), tutto sommato era anche piacevole. E che essere più forti, e più potenti, dava dei vantaggi.

Scoprire cosa fosse il potere, scoprire la portata della violenza, iniziò a cambiare le cose. In ogni senso.

Che differenza c’è tra gli esseri umani e il resto del mondo animale? Una semplice differenza. 

L’uomo uccide per potere, per gloria, o anche solo per il gusto di uccidere.
Gli animali no. Lo fanno per risposta a semplici istinti primordiali.
Vi sembra insensato? O banale?
Si dice spesso che ciò che differenzia noi umani dal resto degli animali è l’intelligenza. Ed è innegabile il progresso che, grazie all’intelligenza, ha portato la razza umana dov’è oggi.
Ma qui sorge un piccolo quesito.
Dove siamo?
Eccoci!

Benvenuti sulla Terra!, cari miei.


Benvenuti su un pianeta dove una razza sola ha dato vita all’arte nelle sue forme più disparate e affascinanti;
dove la creazione e la fantasia dell’intelletto hanno dato vita ad opere di imprescindibile bellezza, di immenso valore estetico, di enorme fascino e durata;
dove la genialità ha permesso l’avvio della scienza, dello studio, dell’invenzione, della tecnologia;
un pianeta dove miliardi di persone un tempo non sapevano le une delle altre e che oggi si parlano in tempo reale a migliaia di chilometri di distanza;
dove in ogni luogo ci sono segni della magnificenza dell’Uomo e della sua operosità e del suo genio;
un mondo dominato dallo splendore di questo mammifero dall’intelligenza sorprendente e manifestamente superiore.

Benvenuti sulla Terra!


Dove se sei ricco o povero fa differenza.
Se sei bianco o nero fa differenza.
Se sei alto o basso fa differenza.
Se sei maschio o femmina fa differenza. 

Dove tutto, sempre, comunque, crea una differenza, una disparità. Dove c’è sempre un debole e un forte.
Un mondo dove uccidere è giudicato un delitto ignobile, eppure abbiamo migliaia di morti al giorno proprio per omicidio. 

Un mondo dove l’Uomo combatte l’Uomo per alti e nobili motivi come il denaro, il potere, il credo religioso, l’opinione politica, il colore della pelle, la nazione di appartenenza, l’ideologia. 

Un mondo dove tutti gli uomini sono uguali, ma tutti si sentono diversi e migliori (o peggiori).
Un mondo dove un uomo solo è capace di dar vita a un'ecatombe, armando le menti di suoi simili che credono in quello che dice.


Benvenuti sulla Terra!


Quella di un secolo, il ventesimo, che ha visto ammazzare circa 175.000.000 di persone solo per guerre. Guerre di potere, di religione, di danaro, di supremazia, di ideologia.
Guerre, cari Terrestri. 

E le guerre sono un’invenzione umana.

Un secolo, il ventesimo, di cui non dispongo di dati sul numero degli omicidi al di fuori di un panorama bellico, ma che sono pronto a scommettere è di diversi milioni di morti.
E il ventesimo secolo da poco trascorso è solo la punta di un massacro che dura da millenni.

Perché questo è il pianeta dell’Uomo e della sua giustizia sommaria.
Perché questo è il mondo che ci è stato consegnato dai padri dei nostri padri e dagli avi dei nostri avi.
Un pianeta totalmente e costantemente insanguinato dalla ferocia e dalla mostruosità dell’Uomo.
Un mondo dominato da una razza selvaggia e crudele che non si ferma davanti a nulla, mai.
La razza di criminali a cui apparteniamo ha imparato e studiato, nel corso dei secoli, metodi sempre più efficaci per uccidere.
Uccidere sempre.

Ora, io lo so cosa pensano alcuni di voi.
E posso immaginare i vostri sguardi indignati.
Pensate che non è così, o almeno che non è tutto questo quello che siamo. 
E avete ragione.

Benvenuti sulla Terra!, quindi.


In un mondo dove tanti uomini e donne hanno professato la fratellanza e la pace.
Dove in tanti si sono battuti indomitamente per il rispetto dei diritti di ogni essere umano.
Dove ogni giorno c’è qualcuno che si adopera per salvare una vita.
Dove ogni giorno c’è qualcuno che si adopera per salvare un animale.
Dove ogni giorno c’è qualcuno che si adopera per salvare un oceano, una montagna, una foresta, un lago, una specie in via di estinzione, un tratto di costa, l’atmosfera.
Dove ogni giorno qualcuno tenta di alzare la voce per essere ascoltato, difendendo i diritti di tutti.
Soprattutto di quelli che non possono difendersi.

Un mondo che ha avuto Gandhi, Gesù Cristo, Martin Luther King.
Un mondo dove puoi trovare bontà e gentilezza. 


Purtroppo, non basta.

Perché la razza umana ha abbattuto Ghandi, Martin Luther King e anche Gesù Cristo.
Ed è vero che i loro insegnamenti non sono stati dimenticati, ma è anche vero che il massacro è comunque continuato. Indistintamente.

Persino i cristiani, coloro che seguono la dottrina di Cristo, si sono macchiati di crimini orrendi.
E probabilmente non era questo che Gesù aveva in mente.

Nessuno dei grandi pensatori e pacifisti e idealisti aveva in mente di mettere a ferro e fuoco un pianeta intero per assoggettarlo ai propri ideali, ma è quel che successo. 

Nessuno pensava che un bastone potesse fare la differenza.
L’ha fatto.
E il bastone è diventato una spada.
Poi un fucile.
Poi un mitra.
Poi una bomba.
Poi un missile.
E mentre qualcuno credeva che potesse far più danni la penna della spada, è stata quest’ultima ad avere l’ultima parola.

Benvenuti sulla Terra!, cari conterranei. 
Cari coinquilini.

Benvenuti sul pianeta verdazzurro che stiamo contribuendo tutti a far diventare grigio.
Il pianeta dalle acque blu e dalle terre verdi come le foreste, marroni come la terra e le rocce, bianche come i ghiacci.
Il pianeta che si dipinge di rosso per il sangue che spargiamo di continuo senza che ci sia uno straccio di maledetto motivo che sia uno.


Benvenuti sulla Terra!

Un pianeta dove noi esseri umani siamo una minoranza assoluta
(1 contro una stima approssimativa di 1.700.000 specie conosciute), ma ci siamo eretti a padroni indiscussi e assoluti.
Un pianeta che aveva un equilibrio delicato, dovuto a tanti fattori. Equilibrio che noi stiamo compromettendo giorno dopo giorno, senza remora alcuna. Inquinandone acque e terre, rovinandone l’atmosfera.
Un pianeta unico per noi. Perché rovinato questo, non potremo traslocare altrove. Posto che un altrove ci sia e chissà dove.

Un pianeta che ha dato cibo e spazio a tutti, prima di noi.
Ma noi stiamo consumando le sue riserve e disintegriamo il suo spazio.

Quindi, alla fine, cosa rimane di tutto questo lungo discorso?

Un dato oggettivo terrificante, che potreste aver sentito o letto in qualche film o in qualche libro creato da menti, fortunatamente, in grado di vedere come stanno veramente le cose.

Noi umani assomigliamo a un virus.
Certo, un virus piuttosto particolare.
Ci moltiplichiamo a grande velocità, ci espandiamo, divoriamo tutto ciò che incontriamo e devastiamo il luogo che ci ospita.
Se questo già non fosse abbastanza allucinante, abbiamo l’esigenza e la tendenza spasmodica a volerci far fuori anche tra di noi.

Noi non siamo la razza dominante della Terra, 
noi siamo l’aberrazione più spaventosa che abbia mai calcato il pianeta

Ma la Terra, questa palla di roccia che gira attorno al Sole, ha una speranza.

Per più di quattro miliardi di anni ha vissuto il suo ciclo vitale alla mercé delle sole forze della natura e dello spazio. Quindi, nel suo habitat ideale.
Noi, minuscoli virus, la infestiamo da un battito di ciglia della sua età.

Considerando la spettacolare violenza di cui siamo capaci possiamo sperare, per la Terra, che ci rimanga ancora qualche millennio da vivere, non di più. 

E per quanto saremo in grado di devastarla, rovinarla, mutilarla, la Terra un giorno sarà libera (se non si libererà prima essa stessa) dalla nostra presenza.
Possiamo essere certi che in un milione di anni essa ricomincerà a vivere, dimentica di noi.

Ma come ho detto, questa è una speranza.
Una speranza per la Terra

Ora, prestate molta attenzione alle prossime righe… 
Io ho un brivido orribile ogni volta che le rileggo.

Nel caso, invece, che fossimo in grado di arrivare a distruggerla per sempre, la cosa avrebbe un peso diverso.
Arriveremo a macchiarci di un crimine talmente enorme da far impallidire tutte le atrocità commesse dalla nostra comparsa fino a oggi.
Vorrebbe dire, per usare una frase “umana”, che l’universo arriverebbe a piangere per il primo omicidio su scala cosmica.

Ed eccoci alla fine...terrestri.

E vi dico ancora: Benvenuti sulla Terra, nella speranza che ne comprendiate il senso.

La Terra...
Né mia, né vostra, né di Dio, né del caso.
La Terra.
Madre e padre e figlia del senso dell’universo.

Benvenuti su un granello di roccia che vive e si muove nel cosmo infinito, dove noi rappresentiamo così poco da non contare nulla.

Buon viaggio.

sabato 2 aprile 2016

Il Pianeta Degli Schiavi

Di tanto in tanto vado a rileggere qualche scritto pubblicato tempo addietro e mi accorgo, tristemente, che è quanto mai attuale.
Ho rimesso mano a questo e gli ho dato una ripulita, l'ho aggiornato, e ve lo ri-propongo.
Cinque minuti di lettura, così, tanto per non dimenticare...



Tempi duri. Maledettamente duri.
Sono decenni e decenni che ci aggiriamo tra i vicoli tortuosi di qualcosa che abbiamo sempre e solo abbozzato, attraverso le parole di illustri pensatori, di pacifici letterati, di uomini e donne di scienza e cultura. Persino di fede.

Niente ne è emerso, se non una lotta continua e fratricida che ha inclinato sempre più il piano sul quale siamo appoggiati, nostro malgrado.
Una superficie ormai resa troppo viscida da tutto quello che non abbiamo voluto fare.
Perché qui sta un punto cruciale. È troppo semplice ridurre l’immenso macello in cui viviamo a qualcosa che abbiamo fatto (e che facciamo).

Quello che come messaggio non passa mai, da nessuna parte, né in rete, né sui media “classici” e nemmeno per strada, tra la gente, è che non abbiamo provato a smettere nemmeno per un momento di fare (e farci) dei danni.
Siamo bravi a lamentarci, però!
Ah, in quello siamo imbattibili.

Da nord a sud, da est a ovest, da qualunque parte si guardi lo sventurato pianeta che ci ospita si notano solo tre cose: odio, morte e distruzione.
Non male per “la specie più intelligente della Terra”.


(La Scuola Di Atene - Raffaello Sanzio - 1509/1511 - Palazzi Apostolici, Città Del Vaticano)

 (Bombardamenti in Siria - Fonte www.strettoweb.com - 27 novembre 2017)


Tempi duri, davvero.
Con la stessa passione con cui ci dedichiamo alle arti siamo capaci di lanciare gragnole di bombe.

Scriviamo poemi, dipingiamo quadri, componiamo musica e allo stesso tempo lasciamo a terra milioni di individui assassinati.


Se ci fosse un reale motivo tangibile, logico, inequivocabile, malgrado io sia contro la violenza, potrei tentare di comprenderlo. Invece, ci fracassiamo tra noi sempre con le solite, sordide motivazioni che spingevano i nostri antenati: religione, denaro, potere, diversità.

E la cosa più incredibile e grottesca è che tendiamo a giustificare questi comportamenti. Cioè, li condanniamo nella misura in cui una cosa o l’altra non stia capitando a noi, perché allora diventa lecito tutto.

Viviamo nello spirito della vendetta. Nello stupido concetto di “razza da odiare”. Nel cervellotico convincimento che un Dio sia meglio di un altro. Nella malsana abitudine di voler dominare e possedere, possedere e dominare.

E diamo prova di queste cose ogni giorno, anche nelle piccole azioni quotidiane: qui come a New York, a Kabul come a Londra, a Città del Capo come a Quito. Non passa giorno senza che un’altra pietra si abbassi su una fossa, a memoria della nostra stoltezza.

Poi, come dicevo prima, ci lamentiamo. Di tutto e sempre. Lo facciamo quando le cose non vanno come vogliamo noi, pronti immediatamente a dar la colpa ad altri, o quando si manifestano pericoli che potevano (e dovevano) essere ridimensionati prima di diventare inevitabili.
Quando odio non c’è, lo creiamo.




Ci si indigna se il Terzo Mondo ci detesta e ci danno fastidio i migranti, ma se il “ricco occidente” non avesse massacrato quelle nazioni, oggi parleremmo d’altro.

Vendiamo ai nostri figli patetiche stronzate come essere buoni a Natale e sulla parola caritatevole di Gesù e poi ammazzeremmo di legnate chi ci ha soffiato il parcheggio o chi tifa la squadra avversaria.


(Scontri ultras per Foggia-Frosinone, fonte www.ysport.eu - 27 dicembre 2017)


Sì, ho scritto patetiche stronzate e facciamocene una ragione, perché abbiamo preso la religione esattamente come il tifo calcistico: un motivo per darci addosso senza tregua.






A grandi linee, più o meno, sono ridotti così.
I musulmani odiano i cattolici e mal digeriscono gli ebrei.
I cattolici odiano i musulmani e sopportano gli ebrei.
Gli ebrei odiano i musulmani e compatiscono i cattolici. Rimangono fuori dal campionato dei mentecatti solo “religioni minori” (non sempre).
Il tuo Dio meno del mio, del suo, dell’altro.
Una vera fiera della colossale idiozia.


Tempi duri.
Io proprio non capisco. A voi che leggete...non viene mai in mente che forse questa è una specie di immensa Arena dove noi non siamo gli spettatori? Perché, perdio, qualche domanda ve la farete, di tanto in tanto, no?

Vi faccio riflettere su un particolare: sono anni e anni che un personaggio politico di spicco del mondo occidentale non viene fatto oggetto di attentati. E quando dico “di spicco” intendo un Presidente, un Premier, uno di quelli che contano sul serio.


(G8 2013 - www.huffingtonpost.it)


I cosiddetti Grandi della Terra (mi è scappata una risata, concedetemela) sono sempre lì, intoccabili. Inarrivabili. Eppure di attentati ne abbiamo di continuo, adesso anche nella nostra vetusta e rintronata Europa.

Parlo di Nuovo Ordine Mondiale? No, no, lascio l’argomento a chi è più ferrato di me in materia di presunti complotti nascosti dietro temibili cortine di fumo. Io parlo di complotto vero, quello chiaro e alla luce del sole. 

Noi gente della strada ci si scanna tra noi, ci si ammazza per un nonnulla. I nostri soldati vanno a combattere guerre senza bandiere e soldati vestiti da passanti si fanno saltare in aria in mezzo alle piazze e agli aeroporti.


(Attentato a Madrid, 2004 - Fonte www.zerottonove.it)


(Cacciabombardiere - Fonte, www.interris.it)

Caccia bombardieri sterminano nazioni intere e gli stessi mandanti sbriciolano foreste e buttano letame nei mari con la stessa freschezza con cui ci dicono: “difenderemo i nostri valori”.
Leggete un’anomalia in tutto questo o sono io che sragiono?


Tempi duri. Durissimi.
Quelle sacche di nauseante bitume che ci governano chiedono a noi di fare dei sacrifici e di stringere i denti mentre loro, lassù, se la godono a nostre spese.

(Fonte www.sestopotere.com)


Ci mettono la paura dentro i vestiti intimandoci di lavorare fino a che morte non sopraggiunga perché le casse dello Stato faticano a sopportare le nostre pensioni.

Le nostre pensioni, quelle per cui abbiamo versato contributi tutta una vita.
E allora, dove sono finiti i soldi che lo Stato ha messo da parte per noi?

(Fonte www.aforismicelebri.com)


Eccolo, l’Occidente della libertà e del benessere!
E noi, coscienti (altro che ignari!) pupazzi, scimmiottiamo le proteste e gli scioperi come se ci credessimo sul serio. Questo è il vero nocciolo della questione: non ci crediamo più. Abbiamo smesso.

Completamente assuefatti dal “tanto non si può far niente” ci siamo adagiati a vivere alla giornata, esponendo il nostro futuro e quello dei nostri figli a una mera comparsata su questo pianeta, nella veste di schiavi.

Perché, ragazzi, meglio se ne prendiamo atto: siamo e rimarremo solo degli schiavi.

Non facciamo niente per rivendicare il potere che ci appartiene e non muoviamo un dito per cambiare, un giorno alla volta, un gesto alla volta, quello che siamo diventati.

I nostri vecchi ci dicevano sempre che la speranza è l’ultima a morire, ma quando la speranza la accartocci come un foglio di carta e la butti nel cesso, ti rimane poco a cui aggrapparti.

Questi sono tempi duri, così duri e ostili che fatichiamo a comprenderne la portata e, soprattutto, la nostra responsabilità.

Un tempo gli schiavi insorgevano. Si battevano. Magari morivano per questo, ma ci provavano.


(Un fotogramma da "The Birth of a nation" del 2016,

film di Nate Parker sulla rivolta degli schiavi in Virginia nel 1831)


In questa epoca, illuminata dalla falsa abbondanza mal distribuita e dal facile odio, non ci sono più i presupposti per insorgere.


(Monaco di Baviera, 2014: folla infinita per comprare il nuovo Iphone 6. 
Fonte www.gazzetta.it)

Una parte del mondo decade e un’altra arranca. Un focolaio di insurrezione qui, una protesta là e poi fine, basta, chiuso.

Tutto sommato, a noi piace essere schiavi.
Dev’essere così.



Rolando


martedì 29 marzo 2016

"DARE ARIA ALLA BOCCA", QUESTA DISCUTIBILE ABITUDINE

“Dare aria alla bocca”.
Questo simpatico modo di dire di solito si rivolge a quelle persone che, non solo quando parlano non dicono nulla, ma soprattutto risultano portabandiera di incongruenze epocali. Individui che parlano e parlano di concetti, piuttosto “alti” oltretutto, spesso mettendo in pratica l’esatto contrario.
Troppa gente che si spertica in lunghe tiritere riempiendosi la bocca con “tolleranza”, “armonia”, “giovialità” per poi agire in modo opposto. A che pro, mi chiedo?
Inoltre, a ciò si aggiunge una diffusa abitudine all’incoerenza vestita da “libertà di cambiare idea”. È indubbio che solo l’idiota non la cambi mai però, se questo significa andare incontro al caos e alla totale inutilità di pensiero, a che serve?
Il nostro è un mondo confuso e internet non lo ha reso certo migliore. Se da una parte potremmo pensarla come Umberto Eco, che diceva «I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli», è pur vero che proprio in virtù di tale diritto non si può pensare di mettere a tacere le “legioni” solo perché si è in possesso di una o più lauree. La rete, in fondo, non ha fatto altro che permettere a milioni di persone di esprimersi su piattaforme a “fruizione planetaria”, ma prima esse emettevano comunque le proprie pulsioni verbali, magari attraverso altri canali, anche se maggiormente circoscritti.
L’incoerenza di fondo che permea la mente di una vasta parte della popolazione non è aumentata con l’avvento del web, ha solo trovato un mezzo per uscire allo scoperto.
Eco aveva ragione in parte perché, a mio modesto avviso, non solo è antidemocratico pensare di tappare la bocca a chicchessia (certo, in taluni casi sarebbe auspicabile anche se assai pericoloso), ma perché forse non considerava che parte del danno arriva proprio da quelli che consideriamo degli “insospettabili”.
Tra coloro che predicano bene e razzolano male ci sono, e lo ravviso con dispiacere, accademici titolati, professori di lungo corso, divulgatori di scienze e letteratura. Persone e professionisti dalla cultura oceanica che scivolano in contraddizioni evidenti diffondendo messaggi di pace, tolleranza e amicizia per poi cadere preda dell’esatto contrario. Ovviamente sono esseri umani. Come tali, sono fallibili esattamente come chi non può vantare titoli altisonanti. Eppure, ciò non li scusa.
Se permettiamo alla figura simbolica dell’ignorante (colui che ignora, che non sa) di inciampare nei facili tranelli dell’incoerenza, altresì è difficile farlo con chi della cultura e della conoscenza ha fatto una professione. Dai “depositari del sapere” ci si aspetta grande pacatezza, moderazione, analisi e lucidità, non contradditori comportamenti dove roboanti pensieri crollano miseramente sotto i colpi di beceri gesti da bettola di periferia (con tutto il rispetto per le bettole).
Cambiare idea, anche dall’oggi al domani, non solo è permesso, ma è addirittura necessario, qualora abbia senso e l’idea poggi su fondamenta sensate. Lo può fare chiunque, giacché questo è prerogativa dell’intelligenza e non della cultura fine a sé stessa, ma se è vero che le due cose non sono per forza correlate ha senso aspettarsi maggior cautela da chi con la cultura ha cercato di “armare” maggiormente il proprio intelletto.
Ecco perché parlo di mancanza di coerenza nel panorama odierno. Se colui che deficita di informazioni ne è facile preda, ed è quindi in certa misura scusabile, ciò non è possibile con la platea multiforme dei professionisti del pensiero.
Umberto Eco con la sua frase ci delinea un paesaggio dissonante.
Lo è perché la rete ha partorito siti e pagine di social network costruite da “addetti ai lavori” che si sperticano in arzigogolate fraseologie basate su illuminate visioni di pace, di amicizia, di gioviale convivenza, ma che alla luce dei fatti rimangono solo parole. Parole vuote di praticità, non di contenuti. E così, succede che praticanti e adepti si accodino per “succhiare dal capezzolo della conoscenza e della saggezza” senza accorgersi che alcuni Maestri sono patetiche e tristi figure che non praticano ciò che professano. Non del tutto, almeno. Sono solo dei mestieranti.
Ecco, io considero questi individui pericolosi più della moltitudine di ignoranti (sempre nell’accezione del non sapere).
Proprio perché essi sono avviluppati da una “aura di autorevolezza” rischiano di portare scompiglio e confusione nelle menti di chi pende dalle loro labbra per seguire una via. In più, dal momento che le persone tendono a innalzare su piedistalli dorati coloro che manifestano pensieri figli di conoscenze enciclopediche, si può ben immaginare quale danno ne possa derivare: un esercito di “convinti” che non colgono l’errore del Maestro quando sbatte sul muro della logica ma che, anzi, ne traggono maggiore insegnamento. Questo perché detto Maestro mai più si fa carico dell’errore, ma distorce l’accaduto vestendolo come prova di qualche intricato pensiero filosofico noto solo a lui (e palesemente sciocco, agli occhi dello scettico).
Ma allora, i pensatori e gli scienziati, i filosofi e i letterati sono tutti un manipolo di farfalloni e imbonitori? Assolutamente no, e meno male. Se così fosse non ci sarebbe speranza.
È assai fastidioso, in più, notare quanto sia ampia la mancanza di una qualità fondamentale in alcuni di questi presunti Maestri. Una qualità che da sola potrebbe liberare il campo dalle scadenti cadute di stile: l’umiltà.
Non ci si deve immaginare il Professore o l’Accademico come una figura in giacca, panciotto e cravatta che guarda dall’alto in basso la plebe non-titolata. Egli il più delle volte è una figura normale, quasi bonaria in molti casi, ed è questo che scatena poi gli assetati di sapere e i digiuni da conoscenza: il vestito da falso umile trae in inganno e fa proseliti meglio di qualsiasi altra strategia. Ti parla con il miele nella voce, ti carezza con il velluto di una sapienza che sembra arrivare direttamente dagli Antichi Pensatori di cui fa sfoggio senza freni.
Ahimè, è proprio quando in gioco entrano gli scettici e i genuini liberi pensatori (pur senza titoli) che il giochino viene meno e le figure “autorevoli” iniziano a sgretolarsi. Perché coloro che non cadono nel condizionamento, ma continuano a far domande e a esigere coerenza, sono disturbatori che innescano l’arroganza e la supponenza dei presunti Maestri. Ciò, ovviamente, non solo è grottesco, ma anche una vera sciagura, perché mette a nudo la reale personalità di questi soggetti che hanno completamente dimenticato (o volutamente accantonato) che il nostro cammino sia composto da un continuo imparare.
Concludendo:
non mi piacciono e non approvo la sequenza infinita di stupidaggini che emergono dalla rete, in tutte le forme e su ogni argomento. Ritengo che la documentazione e la ricerca, prima di sparare sentenze e verità, siano non solo necessarie, ma anche doverose. Ma è pur vero che siamo inseriti in un sistema che fagocita tutto e oramai la tendenza è questa; fino a quando qualcosa non metterà un po’ di ordine continueremo a sorbirci il tutto e il suo contrario. Se, però, comprendo che questo abbia senso per le persone “normali”, è desolante e avvilente che ciò si manifesti in quelli che dovrebbero essere, grazie a una cultura superiore, dei baluardi di coerenza e integrità.
Ecco perché, secondo me, ha senso poter scusare colui che “dà aria alla bocca” e si contraddice a ogni folata di vento, ma all’evidenza dei fatti non ha reali strumenti per sostenere posizioni e concetti. Certo, è fastidioso come il prurito, ma è poco probabile che possa arrivare a fare troppi danni. Di contro, quei presunti e spocchiosi Maestri che predicano verità assolute e altissimi concetti senza praticarli (con una pericolosa tendenza al giudizio sommario, tra l’altro) dovrebbero immergersi nell’umiltà e nella rassegnazione che non solo non si smette mai di imparare, ma che spesso è meglio farsi da parte, in silenzio.
“Un bel tacer mai scritto fu” per dirla con le parole di Iacopo Badoer.
Postilla: quando parlo di ignoranza vorrei fosse chiaro che questa parola appartiene a tutti noi. Tutti siamo ignoranti nella misura in cui non siamo a conoscenza di qualcosa. Quindi, per semplificare, ognuno di noi possiede un suo grado di ignoranza. Palesemente, è possibile che un muratore o un salumiere abbiano un bacino di ignoranza diverso (o probabilmente più ampio, ma non è detto) da chi ha conseguito una o più lauree in questo o quello. Ciò, naturalmente, non ne fa persone peggiori, anzi.
Alla prossima.

sabato 19 marzo 2016

FESTA DEL PAPÀ (nel ricordo di te)




Era un giorno di sole, con quell’aria tiepida che ti accarezza il viso, tipica della primavera in arrivo. Avevamo passato una mattinata allegra in classe, tutti pervasi da quella follia infantile che avverte l’addio della stagione fredda. Anche la maestra aveva condotto le sue lezioni lasciandoci un po’ di corda, perché in fondo sapeva che era un giorno speciale per noi. Infatti, non aveva dimenticato la promessa che ci aveva fatto: avremmo tutti preparato qualcosa per la festa.
Così, mentre camminavo insieme ai compagni sulla strada verso casa, pensavo alla sorpresa che serbavo nella cartella. Ero così orgoglioso! Ci avevo messo un sacco di tempo per prepararla e la maestra mi aveva aiutato, dandomi suggerimenti, correggendomi e infine lasciandomi completare la mia idea. Poi il foglio era stato raccolto e legato con un nastro, a mo’ di pergamena.
Anche gli altri erano tutti euforici, ognuno con il proprio dono gelosamente nascosto. Doveva essere una sorpresa, no? E quindi era importante che rimanesse segreto fino all’ultimo!
Camminammo scherzando, parlando, ridendo e ogni tanto salutavamo qualcuno che si staccava dal gruppo perché giunto a destinazione. E infine rimanemmo in tre. Abitavamo nella stessa strada. Io fui il secondo a sganciarmi, salutai la mia amichetta e aprii il cancello di casa. Vicino alla porta del garage c’era il motorino arancione di mamma. Era già tornata dal lavoro.
La porta dello studio era aperta e potevo sentire le note di Glenn Miller uscire nell’aria mite. Misi dentro la testa e lo vidi seduto sulla sua poltroncina blu, di fronte al cavalletto. Stava osservando il quadro davanti a lui, assorto. Dal posacenere salivano le volute di fumo di una delle tante sigarette che si dimenticava di aver acceso.
Lo osservai, come se volessi imprimerlo nella mente per non dimenticare più quel momento. La sua camicia azzurra, il pullover verde. Le maniche tirate su fino ai gomiti a lasciare scoperta la pelle bianca e punteggiata da deboli lentiggini.
Gli occhiali con la montatura nera erano appena un po’ abbassati sul naso, il sopracciglio sinistro leggermente alzato. Gli occhi vivi, acuti e perduti in chissà quali pensieri. Poi si accorse di me e mi guardò.
Io entrai allegramente, saltellando. «Ciao papà! »
Il suo viso si aprì in uno dei suoi sorrisi dorati, quelli che erano tutti per me. Si scostò dal cavalletto e ancora con il pennello in mano allargò le braccia. «Vieni qui! » Esclamò.
E lo abbracciai forte. E mi abbracciò forte. E io mi persi con il viso tra il maglione, la camicia e la sua pelle, che odoravano di dopobarba, di tabacco e di buono. Di tanto tanto buono. Quell’odore suo, che io non dimenticavo mai.
Poi mi scostò e mi arruffò i capelli. Mentre appoggiavo a terra la cartella e riponevo la giacchetta sulla sedia a fianco del tavolo mi chiese com’era andata a scuola. E io gli dissi che avevamo fatto tante cose, di questo, di quello, ma sempre con il mio segreto nascosto. In quel momento entrò la mamma, che aveva il grembiule da cucina e l’aria un po’ stanca, ma sempre bellissima. I lunghi capelli neri legati con una coda alta. Si appoggiò allo stipite della porta.
«Ma sei già qua». Disse sorridendo.
Aveva ragione, io di solito tardavo sempre. Tra una chiacchiera e l’altra, all’uscita da scuola mi perdevo sempre in mezzo alle lancette, ma non quel giorno. Quello era un giorno speciale. E mamma, che mi conosceva, capì che avevo qualcosa di diverso. I suoi occhi mi scrutavano e indagavano e io capii che non ce l’avrei fatta ad attendere fin dopo pranzo. Ero troppo eccitato.
«Tu hai qualcosa». Mi disse con la sua espressione dal broncio divertito.
Papà la guardò con fare interrogativo. «Qualcosa? » Disse.
«Oh, accidenti! » Esclamai. «Non ci riesco ad aspettare! » Mi chinai sulla cartella, la aprii e presi la “pergamena”. Entrambi mi osservarono incuriositi.
Io andai vicino a lui e gliela porsi. «Auguri, papà! È la tua festa oggi! »
Lui strinse gli occhi. Un mezzo sorriso dipinto sul volto. Guardò ora me, ora il foglio legato dal nastro. Poi lo prese dalle mie mani e mi attirò a sé, abbracciandomi di nuovo.
A malavoglia mi staccai subito. «Aprilo, su! »
Lui slegò il nastrino e lo pose accanto alla tavolozza, dove campeggiava un intenso arcobaleno di colori freschi. Srotolò il foglio e lo guardò. E lo guardò ancora. Poi le sue palpebre si abbassarono e quando le riaprì c’era un velo nei suoi occhi, un debole velo di lacrime. E mi regalò uno dei suoi sorrisi più dolci. Mi abbracciò ancora, ma fu diverso questa volta. Fu intenso e profondo, tinteggiato da tanti “grazie, amore” che si perdevano nel mio cuore di bambino.
La mamma rimase sulla porta, lasciandoci quel momento solo per noi, anche se la udii singhiozzare debolmente. Commossa.
Il foglio scivolò dalle dita di papà si fermò sulle sue gambe.
Un piccolo disegno di montagne lontane, di un altro mondo. La mia visione dei paesaggi che dipingeva tanto spesso. E accanto, poche righe:

Auguri al mio meraviglioso Papà,
per la sua Festa!
Perché io sono tanto felice  
che tu sia il mio Papà
e perché sei il Papà migliore dell’universo!”

Un disegno provato più e più volte e qualche parola, con l’aiuto della maestra, per riuscire a dargli una prova del mio amore. Un amore che non aveva eguali e non ne ha mai avuti.
E io non sapevo che quella sarebbe stata la nostra ultima Festa del Papà.
Non lo sapeva nessuno.



Oggi sono qui. E quegli anni sono lontani. Tanto, tanto lontani. Quel foglio non c’è più. Perduto anch’esso tra le sabbie del tempo.
Oggi sono qui ed è la tua festa, Papà. Non ti posso guardare negli occhi, non posso sentire le tue mani, le tue braccia. Non posso sentire l’odore della tua pelle che si mischia al tabacco e al dopobarba. Non c’è più l’odore dei colori a olio con cui riempivi le tele di mondi remoti. I tuoi mondi meravigliosi.
Non c’è più la tua voce che mi parla. Non c’è più il tuo alito caldo. Non c’è più il battere del tuo cuore quando mi addormentavo su di te.
Tutto questo è scomparso. Ci sono solo i ricordi.
E sono tutto quello che ho di te e non li cambierei con nient’altro al mondo, credimi Papà, con nient’altro al mondo. Il ricordo di te è il mio Tesoro più grande.
Io oggi sono qui, a pensare a tutte le Feste del Papà venute dopo. A quanto mi sei mancato. A quanto mi mancherai.
Quando il dolore sale, sai, io stringo le mani e chiudo gli occhi, apro la mia memoria e ti ritrovo come allora. Lì, bello e forte e dolce e stupendo. Con la tua mente straordinaria e il tuo cuore immenso.
E quando riesco a non piangere, sorrido. Chiedo aiuto alla forza della ragione e so, ne sono sicuro, che sono stato fortunato. Perché un Amore così non tutti riescono ad averlo.

Io ti ho avuto. Ho avuto te, Papà, e non c’è nulla che potrà mai toglierti da me.
Perché sei dentro di me. Nella mia mente, nel mio spirito, nel mio cuore. Nel mio tempo.
Non te ne sei mai andato. Né da quel bambino, e nemmeno da quest’uomo.
Auguri, Papà.
Ti amo da sempre e ti amerò per sempre.
Per Sempre.


Tuo figlio.

giovedì 17 marzo 2016

L'ULTIMO RIFUGIO



“La violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci.”
Non è la frase di un noto filosofo. Pur potendolo annoverare anche tra essi per i suoi indubbi contributi, l’autore è uno scrittore americano: Isaac Asimov.
Chi la pronuncia è uno dei personaggi di uno dei più celebri e letti cicli di fantascienza di tutti i tempi, quello di “Fondazione”.
Per la precisione essa appare per la prima volta nel romanzo omonimo, poi rinominato “Prima Fondazione”, che uscì a puntate sulla rivista americana Astounding tra il 1942 e il 1944.
Il “motto di Salvor Hardin” (il personaggio che lo pronuncia per la prima volta) è un ottimo spunto per darci un’occhiata intorno, soprattutto ora che siamo all’apice di una crisi mondiale che riguarda ogni aspetto della vita di chiunque.
E mi riferisco a un quadro generale che è sconfortante.
Migliaia di anni di evoluzione e millenni di Storia non ci hanno insegnato niente. Restii a voler fare un successivo passo in avanti ci siamo fossilizzati in una posizione che, se non fosse tragica, potremmo definire grottesca.
Abbiamo in una mano le meraviglie dell’Universo, gli scenari della scienza e della tecnica, i colori e le parole delle arti; nell’altra stringiamo il pressapochismo, il dominio, la supremazia, il fanatismo, la divisione.
Una continua e ripetitiva violenza ci muove in ogni cosa che facciamo, che diciamo, che pensiamo, come se non ci fosse altro nella nostra esistenza se non sottomettere e cancellare. Persino la definizione che diamo delle genti del mondo è violenta: le razze.
Il termine razza è quasi scomparso persino dalla terminologia scientifica, basti pensare all’antropologia biologica e alla genetica umana, ma noi ancora parliamo di razza bianca, razza nera, razza orientale e via discorrendo.
Noi facciamo parte della Specie Umana, punto.
E questo particolare ci fornisce l’esempio lampante del contrasto che viviamo. La scienza evolve, ma noi no.
Curioso… Perché?
Una spiegazione ampia richiederebbe un’analisi così profonda che non basterebbe un libro per contenerla, ma se volessimo ridurre e sintetizzare potremmo dire che: non vogliamo.
A molti piacerebbe, certo, e tra questi ce ne sono che fanno campagne di sensibilizzazione e pacifiche lotte per aprire le menti dei recalcitranti, ma il problema è che questi ultimi sono tantissimi e poco inclini a voler vedere al di là del loro naso.
Le convinzioni, i preconcetti sono duri da abbattere e i pensieri stantii basati sui fasulli presupposti di superiorità e di inferiorità resistono.La mancanza di una diffusa ed ampia cultura del diverso come “ciò da cui apprendere” invece che come problema è un aspetto fondamentale, così come lo è il concetto di possesso. Avere per essere. Sono tutti aspetti centrali di quella che chiamiamo Società Moderna.
Ogni persona di questo pianeta ha dei sogni e delle speranze. Ovviamente questi cambiano a seconda del luogo che prendiamo in esame. Questo perché la Società Moderna è rimasta quella che era un secolo fa e mille anni fa. Di moderno c’è solamente il picco tecnologico che ha portato vita più longeva, maggiori automazioni, comodità e comfort in tutto il mondo occidentale. Ma in ogni altra parte del globo sono arrivate solo le armi. E laddove sembra che non sia così (perché gli smartphone li troviamo anche in zone disagiate e affamate) tutto fa parte di un astuto disegno molto simile a quello che fecero i coloni arrivati nel Nuovo Mondo. Whisky e fucili ai nativi e alla fine sterminio.
Noi, comodamente seduti nelle nostre case, abbiamo sogni e speranze relativi al lavoro, alla carriera, alla macchina nuova, all’acquisto di una casa, alle vacanze. Viviamo all’interno di una sorta di consapevole ignoranza. Guardiamo il portafoglio e chiediamoci: è tutto racchiuso lì dentro quello che desideriamo? È tutto lì quello che siamo?È assai deludente e mortificante constatare che è proprio così, che lo accettiamo quasi passivamente, perché anche altre cose come la salute e il sostentamento passano da lì dentro.
Di questa unità di misura abbiamo fatto un dogma. Il Denaro è la colonna portante della nostra civiltà e per il denaro (e il conseguente potere che deriva dal possederlo) abbiamo dimostrato che siamo disposti a tutto. Anche allo schiavismo di intere popolazioni.Consapevolmente o meno, non è forse violenza questa?
Possiamo dire che le parole che Asimov fa pronunciare a Salvor Hardin sono quanto di più chiaro serva per illustrare la società umana?
Noi siamo degli Incapaci.
Io non sono nessuno, se non uno di voi, e mi macchio di questa violenza ogni maledetto giorno. Non è un caso se ho scritto “Noi siamo degli Incapaci”, perché lo siamo tutti.
Anche quelli che si impegnano, anche quelli che si battono, anche quelli che lottano  e non vogliono esserlo.
Purtroppo, se volessimo stilare una classifica comprendente chi si impegna di più e chi meno faremmo solamente un altro dei giochi che servono il Sistema in cui siamo inseriti.
Ma allora, ci chiediamo, cosa possiamo fare?
Beh, ritengo che una differenza tra un incapace attivo e uno passivo, ci sia. Se così non fosse, non avremmo speranza.
È da qui che a mio modesto avviso possono partire i cambiamenti.Come Incapaci Attivi possiamo diffondere messaggi diversi da quelli che ci soffocano ogni giorno; produrre una positiva visione di un futuro alternativo attraverso idee e ideali scevri da confini, da gabbie, da incasellamenti, da bandiere e da dogmi. Il libero pensatore non deve essere un soggetto che si crede esclusivo, altrimenti diventa egli stesso un Passivo.
Questa violenza di cui siamo personalmente responsabili con i gesti e le parole che il Sistema ci obbliga ad adoperare può essere arginata, limitata e infine sconfitta.Certo…noi non vedremo i frutti di questa lotta, perché si tratta di un cammino lunghissimo e impervio, ma non credete che sia fondamentale sapere che può esserci un futuro diverso e migliore per chi verrà dopo (di noi)?
Abbiamo il dovere morale di non arretrare di fronte alla paura di non riuscire, di fronte al timore di venire additati come matti. Attraverso la profonda ricchezza delle diversità si può creare un amalgama coeso, ben diverso da quello che è il mondo diviso e umanamente arretrato in cui viviamo.
Le diversità sono importanti per creare confronti, per arricchire la mente e lo spirito, per superare gli ostacoli che uniformità e assolutismo ci pongono in ogni istante.
Il Denaro, come forma Principe della divisione e del classismo, lo abbiamo accettato perché ci è stato imposto, ma possiamo demolire il suo potere e tutto ciò che lo alimenta con la volontà di cambiare.
Ci sono tanti luoghi nel mondo dove possiamo incontrare persone che non ti chiedono soldi, ma aiuto. Un po’ di cibo, di acqua, una cura per qualche malattia. Sono le stesse persone che possono ripagare qualsiasi tuo gesto amichevole e disinteressato con una ospitalità e una gentilezza che noi, nel nostro mondo “superiore”, abbiamo quasi dimenticato.
Evolverci in qualcosa di migliore non è possibile e dobbiamo prendere spunto dalla Storia, per imparare a smettere di essere ciò che siamo stati fino ad ora.
Lo sforzo che dobbiamo compiere è quello di oltrepassare quella cortina di fumo che ci viene spacciata come Verità e Realtà ogni giorno, e se ciò appare difficile lo dobbiamo al Sistema.
Però, non va dimenticato che esso non si è creato da solo, ma è stato originato da menti umane, persone come noi che hanno basato tutto sulla divisione e sul profitto. Su dogmi e denaro.
Se la violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci, possiamo noi smettere di rifugiarci in quanto tali e mettere la testa fuori dal cunicolo in cui ci siamo nascosti? Possiamo passare da Incapaci Passivi e Attivi a una forma di vita più evoluta che la smetta di vedere nella diversità un mostro, nel denaro un dio e nel possedere una gratificazione?
Come ho detto, si tratta di un cammino arduo e difficile, oltre che di lunga durata. Ma non impossibile. Per quanto mi riguarda, sono convinto che l’impossibile richieda solo un po’ più di tempo.
Credo che sarebbe ingiustificabile non porsi nemmeno l’idea di rifletterci sopra.
Da par mio, in mia memoria gradirei si dicesse:
tentò con ogni mezzo di abbandonare l’ultimo rifugio.
E smise di essere un Incapace.

martedì 1 marzo 2016

SULL'AMICIZIA


Non ci sono mai solo ragioni semplici che legano le persone. I legami umani sono complessi, spesso contradditori. Ciò che importa davvero, affinché i rapporti possano funzionare, è la coerenza e la lealtà. Quando ci sono questi presupposti, che sono all’interno della sfera del rispetto, allora può nascere un’Amicizia. Questo sentimento è sicuramente il più delicato tra quelli che possiamo provare. Se vi sembra che ciò sia ingiusto nei confronti dell’amore, allora non considerate l’aspetto particolare che li differenzia: l’amicizia è una forma d’amore, l’amore non è una forma di amicizia. Essere Amici significa portare il fardello dell’altro con la stessa disinvoltura con cui si porta il proprio. Significa condividere notti intere di gioie e dolori senza il sublime passaggio del sesso, ma naturalmente senza pagarne il conto assai salato che ne deriva. L’Amicizia è un concentrato di fiducia così elevato che diventa essenzialmente vincolante. Se accetti di farne parte devi assumerti la responsabilità che grava sulla delicatezza dei rapporti umani più stretti, non puoi pensare di essere Amico in modo farfallone o distratto. Non ti è concesso. L’Amicizia ha degli oneri altissimi, sì, ma ti ripaga con degli onori che nessun altro sentimento può donarti. No, nemmeno l’amore.
Quando due persone sono Amiche il sentimento che le lega è (deve esserlo) inossidabile. Non sente il passaggio del tempo, la distanza non importa, le sirene negative e le invidie non lo toccano. Due persone Amiche sono un baluardo invulnerabile di onestà, fiducia, forza, coraggio, fratellanza, condivisione di tutto, nel bene e nel male. Infatti, non è un caso che di questo sentimento si abusi di continuo. Perché le persone faticano a calarsi in un simile concentrato di forze. È troppo impegnativo. La conseguenza è che i Veri Amici, nel mondo, sono relativamente pochi. Due Amici stipulano tacitamente una sorta di invisibile contratto: si impegnano a essere sempre presenti  nella vita dell’altro, e anche quando fisicamente ciò non è possibile lo saranno con la mente e con lo spirito; mettono nelle mani l’uno dell’altro le proprie debolezze e i propri difetti, più importanti dei pregi e delle caratteristiche vincenti, perché la condivisione deve avere come base la fiducia; si abbandonano alla sicurezza che non si tradiranno; accettano senza condizioni che ci sia una franchezza totale e completa, perché proprio sulla base della più limpida (e a volte spietata) condivisione della verità si costruiscono rapporti che il tempo non può scalfire. Lo so, sembra troppo. Troppo e troppo “intimo”. Eppure è questo “troppo” che rende l’Amicizia un sentimento tanto bello, potente, denso.
Tante volte chiamiamo amici persone che sono molto più o poco più che conoscenti e da essi ci aspettiamo parecchio. È sbagliato, ma è una sottigliezza di definizione che ormai dobbiamo accettare. Diciamo amici, ma manca quella lettera maiuscola che li identifica come parte integrante e insostituibile della nostra vita. Non è peccato, non vuole sminuire o accrescere, ma è importante tenerne conto. Potranno avere la maiuscola un giorno? Dipende da noi e anche da loro.
E ancora…
Una delle spettacolari caratteristiche di questo sentimento è proprio la sua capacità di resistere alle intemperie dello scorrere del tempo e della distanza. L’ho già menzionata, ma questa speciale particolarità ha bisogno di essere spiegata. Non importa quanto tempo intercorra tra una visita, o una comunicazione, e l’altra, perché in qualche modo gli Amici sanno, e sentono, che la presenza spirituale “dell’altro” c’è. È lì con loro. Due innamorati hanno bisogno della loro assoluta presenza fisica e quando si frappone una distanza essi soffrono, perché la necessità del contatto è esasperante. Certo, ci sono eccezioni, ma proprio per questo non possono fare la differenza. Due Amici possono arrivare a non sentirsi per mesi, a non vedersi per anni, ma quello che li aveva legati indissolubilmente nel passato rimane saldo e inattaccabile come se fossero uno di fronte all’altro. Nella memoria di entrambi naviga tranquillo non il ricordo, ma la presenza: ognuno sa che l’Amico è dentro di sé, che cammina e parla attraverso le azioni del quotidiano.
La straordinarietà di questo sentimento si nota anche in un’altra peculiarità: succede, di tanto in tanto, che due persone si incontrino e, per puro caso, scoprano di essere spiriti affini. Quello che in Amore è chiamato colpo di fulmine.
In Amicizia questa folgore colpisce, ma assai raramente finisce. È strano, lo so, eppure è così che succede. Due tizi si incontrano, si parlano, ridono, scherzano, entrano in conversazioni più personali e scoprono in brevissimo tempo che sono congeniali l’uno all’altro, arrivando a chiedersi “Ma dove sei stato finora?”
Mio padre, che dell’Amicizia fu un innamorato, definì questo accadimento così: “Due individui, sconosciuti fino a poco prima, si incontrano e scoprono di essere consequenziali l’uno all’altro. Non c’è una ragione precisa, ma il semplice tocco spirituale dell’affinità che filtra attraverso le loro prime parole e i loro sguardi."
È indubbiamente una visione assai romantica e il motivo che mi spinge a crederci è sicuramente l’essere stato cresciuto da lui. Però, ho avuto modo di sperimentarlo in prima persona e ho compreso che la sua estrema sensibilità lo aveva indotto a “sentire” che ciò aveva un senso.
L’Amicizia è un sentimento nobile. È qualcosa che travalica l’ossessivo desiderio del possesso tipico dell’amore, eppure è al contempo una forma di amore di qualità elevatissima, così tanto che gli Amici sono disposti a tutto pur di essersi d’aiuto, di condividersi, di esserci. Non è importante il “quanto”, in Amicizia, ma il semplice farlo e spesso il semplice dirlo.
Personalmente posso dire di avere degli Amici. Ho patito tanto nella mia vita prima di comprendere che non avevo bisogno di essere circondato, nel cuore, da tanta gente, ma che era necessario che chi c’era fosse “per sempre”. Bisogna ricordare, ancora una volta, che l’Amico non ti giudicherà mai, ma potrà essere spietato. È il suo ruolo e lo si deve rispettare in virtù di quell’amore incondizionato che egli ha donato a te (e che tu hai donato a lui).
E l’Amico sa, lo sa sempre, che anche attraverso il silenzio lo stai portando nel cuore. A spasso con te. E non preoccupatevi di come siete, di che carattere pessimo potete avere, di quali basse azioni siete capaci o di quali siano le vostre mire, l’Amico vi conosce e sarà pronto ad abbracciarvi e perdonarvi, ma solo se sarete onesti, leali e franchi.
L’Amicizia può tutto.
Ma ricordate: due innamorati possono lasciarsi e tornare insieme.
Due Amici, una volta rotto il patto, non potranno mai più. Il tradimento non è contemplato.
Se avete Amici, come ne ho io, accarezzateli nel cuore, dove il loro posto è caldo e al sicuro. È tra le gioie più belle che la Vita ci ha donato.
Ai miei Amici:
Michele P., Nadia V., GiuseppeL.,  VittorioV.,  Sergio T., Giovanni L., Laura N., Sergio R., Franco R., Doris F., Tuncay D., Roberto I.
E a Morena. Che mi ha insegnato come l’Amore e l’Amicizia possano fondersi e camminare insieme.

mercoledì 24 febbraio 2016

COMPRENDERE E VIVERE



Sono tanti quelli che dicono che dobbiamo cercare di essere più ottimisti, più rilassati, più propositivi.
Esprimono un desidero di allontanamento dal disagio che ci viene offerto giornalmente, ma io mi chiedo: ha senso? E se ne ha, che conseguenze positive dovrebbe avere?  

Non riesco a vedere in questa pratica una strada per un mondo migliore, anzi, mi dà l’impressione che sia solo un volersi allontanare  per non vedere.  

Siamo assuefatti dalla realtà che ci circonda a tal punto che sembra non farci effetto più niente.
Invece di affrontarla, la subiamo passivamente e tendiamo a dimenticarne l’influenza costante –secondo per secondo- che ha sulle nostre vite.

Quando parlo di realtà non indico il mondo intero, per quello serve una visione più ampia, ma di quella che ci tocca da vicino.
La stessa che, tra un caffè al bar e la lettura di un quotidiano, ci fa arrabbiare, indignare, insorgere (dentro), ma che accantoniamo subito dopo davanti all’altare sacro del “cosa posso fare io?”.  

Le belle parole in stile new age mal si adattano a una situazione che sta stritolando l’individuo dentro un meccanismo schiavista.
Mal si adattano perché non sono pratiche, non sono utili –nella loro forma teorica- a portare un reale cambiamento dentro a una società che predilige e consolida uno status quo ad ogni istante, con ogni movimento, sempre.

La massa di persone e la loro individuale percezione del giusto sono ormai diventati così prevedibili che chi gestisce il Sistema non ha difficoltà a tenerli bloccati.

Come ho detto tante volte, prendendomi anche una caterva di insulti, siamo ancora troppo benestanti. Stiamo bene. Ma stiamo bene nello stesso modo in cui sta bene la rana nel famoso esempio della pentola:
se butti la rana in una pentola di acqua bollente, lei cercherà di saltare via (pur non riuscendoci) e morirà in pochi secondi;
ma se metti la rana in una pentola di acqua fredda, da buon anfibio lei si metterà a nuotare tranquilla, senza accorgersi che il fuoco acceso sotto la pentola la lesserà lentamente.
E morirà comunque.
Ciò che continua a non esserci chiaro, e che non vogliamo comprendere nella sua spaventosa essenza, è che siamo all’interno di una trappola. Tutti quanti.

Il sistema economico che abbiamo accettato passivamente si sta solidificando attorno a noi (l’acqua che si scalda), ma non ne cogliamo il pericolo mortale (finire lessati).                  

A differenza di altri momenti storici, ma senza andare troppo indietro nel tempo, ci siamo adagiati su un Sistema chiaramente oppressivo che però ha usato il lenitivo dell’intrattenimento per sedare le nostre reazioni.
E mentre continua a toglierci certezze, diritti, possibilità, noi scriviamo le nostre profonde indignazioni sul web (lo sto facendo anch’io, in questo momento), ma non ci muoviamo dalla nostra posizione.
Non lo facciamo perché siamo terrorizzati dall’idea di perdere quel poco (o molto) che abbiamo faticosamente conquistato.
Quello che è “nostro”.
Ed è il concetto di possesso, assieme all’intrattenimento, sui quali si basa la morsa psicologica che ci impedisce di reagire.

Cos’abbiamo realmente di “nostro”?
La casa? L’automobile? Il televisore da 40 pollici? L’orologio pregiato? Gioielli? Un conto in banca?

Queste cose sono oggetti. A parte poche centinaia di persone realmente ricche (di contanti) questi oggetti li abbiamo comprati con denaro che, se non è stato guadagnato, abbiamo chiesto in prestito a una banca.
Eppure, la casa ha una tassa che va pagata. La macchina ha una tassa che va pagata. Persino il televisore ha una tassa. E se le tasse non vengono pagate, se il mutuo o il prestito non viene onorato (possono succedere tante cose, come la perdita del lavoro) questi oggetti vengono portati via dallo Stato per pagare i debiti.

Gli altri oggetti non soggetti a tassazione, ma preziosi, serviranno al medesimo scopo. Pagare. Quindi, realmente, cosa abbiamo di “nostro”? A parte qualche oggetto di poco valore economico, ma di valore affettivo, l’unica cosa che abbiamo e che possiamo a gran voce dichiarare “nostra” è la vita. La nostra vita.
Ed è qui che entriamo in confusione.

Sul concetto semplice di vita noi andiamo in corto circuito.
Non capiamo.
Dal momento della nostra nascita veniamo cresciuti nella convinzione di dover imparare una serie di cose attraverso un ciclo di studi (percorso scolastico) che servirà a introdurci nel migliore dei modi nel mondo del lavoro.

Non si tratta di scegliere se farlo o no, ma solo di come. Per un certo periodo avremo l’obbligo di frequenza e successivamente potremo continuare o interrompere.
Il fine ultimo, comunque, non è imparare e basta, ma “imparare per lavorare”.
Imparare e basta potrà essere una nostra scelta nella misura in cui saremo stati affiancati da genitori e/o insegnanti portati a farci apprezzare il semplice concetto di “sapere”.
Di solito questo avviene dopo il ciclo di studi, difficilmente si presenta durante.

Bene, quindi noi cresciamo, a tutti gli effetti, per diventare lavoratori. I  lavoratori sono “soggetti produttivi” e non hanno nessun’altra funzione.

Il lavoro retribuito serve a mettere a nostra disposizione una certa quantità di denaro con il quale possiamo avviare la catena dei consumi che il Sistema richiede per sostenere sé stesso.

Lo so, messa giù così è abbastanza brutale, ma non c’è scappatoia. È così e basta.

In qualità di soggetti produttivi noi permettiamo che la macchina economica non si fermi e grazie alla retribuzione immettiamo denaro all’interno della stessa macchina, in un circolo vizioso. Certo, voi direte che è ovvio e che il sistema capitalistico funziona così. Non proprio: tutti i sistemi funzionano così. Tutti i sistemi basati sul denaro come unità di misura di ogni tipo di servizio.
Ora vorrei soffermarmi sulle parole con cui sono partito all’inizio dell’articolo. Ottimismo, rilassamento, propositività.

Perché dovremmo abbracciare queste parole per vivere meglio? È vero che atteggiamenti di questo tipo ci aiuterebbero nell’affrontare la vita di tutti i giorni?      

In parte, sì. Solo in parte.

È chiaro che se riusciamo a vedere “il bicchiere mezzo pieno” in ogni situazione possiamo andare incontro a un “vivere migliore”, ma è anche vero che questo sarebbe soltanto un palliativo.

Non cambia ciò che viviamo, non muta il Sistema in cui siamo inseriti, non risolve i problemi. Ritengo, invece, che una presa di coscienza profonda di ciò che è il meccanismo sia essenziale per poter iniziare una forma di reazione.

Capire, comprendere e espellere le scorie di questo Sistema si può fare. La coercizione presente nelle nostre vite (lavoro-denaro-acquisto) è talmente radicata che anche quando ci abbandoniamo a simili pratiche di distaccamento (ottimismo, relax e propositività) rimaniamo comunque incastrati tra gli ingranaggi, con la sola differenza che “pensiamo” di poterne uscire. Di poterci distogliere. Non è così.
Ho scritto: capire, comprendere e espellere le scorie di questo Sistema si può fare. Non è una bufaletta da quattro soldi.

Solo attraverso la reale comprensione di come funziona il Sistema (e l’individuazione dei suoi artefici) possiamo iniziare a uscire da un complesso meccanismo mentale che ha radici profonde, lontane.

Sin dalla nascita veniamo portati a un certo tipo di “pensiero-azione”, convinti di aver bisogno di cose che invece non servono.

Quello di cui abbiamo bisogno, realmente, è vivere.
Vivere liberi dalle catene mentali (e fisiche) con cui siamo cresciuti.
Come esseri viventi abbiamo il diritto di vivere.
Come esseri intelligenti abbiamo il dovere di smettere di sopravvivere.  
Tutti.