venerdì 25 maggio 2018

La Rete Impazzita (Due Chiacchiere A Proposito Del Web)



La Rete, la Rete…questo universo che ci sfugge.
Mi verrebbe da dire “ci sfugge di mano”, più che dalla comprensione. Non trovate?

Un tempo lontano, anche se sembra meno, quando si aveva un dubbio su qualche argomento ci si rivolgeva ai libri. In casa, in biblioteca o in libreria era a questi (pare) vetusti oggetti che ci si riferiva. Magari si doveva perdere un po’ di tempo, ma si finiva sempre per trovare quel che si cercava. 


Nell’odierno XXI secolo di compressa tecnologia superveloce tutto è a disposizione di un click. Vai su internet e hai risolto.
Architettura, storia, geografia, fisica quantistica, matematica teorica, cucina regionale, nazionale e mondiale, politica interna ed estera; evoluzione del motore a scoppio e arte contemporanea, razze canine e calcolo differenziale, albo d’oro dei mondiali di beach volley e giacimenti di berillio.
Sul web trovi lo scibile umano a portata di mouse.

Figo, vero?
Mica tanto.

La Rete è un calderone in continuo rimescolamento e evoluzione dove, però, accanto a milioni di informazioni esatte ci sono miliardi di cazzate spacciate per vere.

A lungo andare questo sistema ha generato due fenomeni involontari: il “Principio di Dubbio Automatico” e il “Principio di Fiducia Per Forza”.

Purtroppo, accanto, per esempio, alla cristallina ovvietà degli enunciati delle Leggi della Dinamica si leggono altrettante cristalline scempiaggini sull’invenzione di una macchina capace di “vedere” il passato (Cronovisore). 


Dal momento che le Leggi della Dinamica sono conosciute e dimostrate dovrebbe essere facile, per il lettore, non scivolare nella panzana grande come un pianeta di una macchina che vede il tempo (e lo fotografa!).

Ahimè, invece si realizza una cosa pazzesca: una massa indefinita ed enorme di persone crede al Cronovisore senza che esista una sola prova a sostegno, una dimostrazione chiara, qualche principio fisico che lo appoggi.
Da qui ad arrivare a qualche simpatico cerebroleso che la spara sulla ineluttabile certezza che la Terra sia piatta è un gioco da ragazzi.
Siamo ai limiti del sostenibile. 



Il Principio di Dubbio Automatico nasce a causa delle tera-stupidaggini che navigano nel melmoso mare dell’informazione virtuale.
A forza di leggere queste cose si finisce per mettere in dubbio anche ciò che dubbio non dovrebbe avere.
Si mettono in discussione una serie di ovvietà scientifiche che per divenire tali hanno lottato contro il tempo, l’ostracismo delle religioni, il conservatorismo di epoche ottuse.
Tutto spazzato via, in pochi anni, dalla Rete “genera-fenomeni”.

È chiaro che ciò che è dimostrato scientificamente ha ben poche speranze di essere confutato, a meno che a farlo non sia un pool di scienziati e ricercatori con i contro attributi, ma rimane il fatto, tristissimo, che per colpa di una schiera di personaggi ai limiti della patologia schizofrenico-paranoide alcune certezze risentano del peso del dubbio.

A giocare un ruolo fondamentale in questa partita è proprio il “Principio di Fiducia Per Forza” che, lapalissiano direi, si giova della dilagante ignoranza nella popolazione mondiale.

Domanda: ai tempi in cui la Rete non c’era eravamo più acculturati?
Risposta: no, le cazzate circolavano libere anche allora.
Quindi, dov’è il problema?

Il problema, cari i miei naviganti, è quel che la Rete ha generato: la possibilità di spararla sempre più grossa davanti a una platea di miliardi di persone, non al bar sotto casa. 


Eh già, perché al bar la stronzata rimane confinata o, mal che vada, fa il giro del quartiere e poi, una volta sputtanata, si spegne.
Attraverso il web, ahimè, con siti ridondanti di paroloni a effetto e fotografie “cattura-pirla” si è moltiplicata un’intera generazione di individui sottomessi, sotto-acculturati e creduloni all’inverosimile; una platea che si beve qualsiasi cosa come fosse il Verbo in diretta dal Paradiso.

E questo perché? Per lo stesso motivo che spinge ancora oggi una marea di gente a credere a tutto quello che vomita la televisione.
«Se lo dice la tv, allora è vero».
«Se lo leggo in Rete, allora è vero».

Già, già…
Qualche esempio condito da un po’ di sano umorismo: 


-Gli alieni sono sbarcati e: ci dominano;
 si sono infiltrati tra noi;
 sono in combutta con i governi;
 buttatene lì una voi…


-Non siamo mai andati sulla Luna;
 Sì, ci siamo andati e abbiamo scoperto “la qualsiasi cosa incredibile”;
 Non ci siamo andati, ma abbiamo fatto finta di sì;
 …un’altra cazzata a caso, prego.






-La seconda guerra mondiale l’hanno voluta gli americani e gli inglesi con il benestare dell’Urss;
 i campi di sterminio nazisti non sono mai esistiti;
 la Shoah non ha mai avuto luogo;
 Hitler voleva solo unificare l’Europa (o era Teschio Rosso?).
 E Capitan America ha rovinato tutto, mannaggia a lui…





-La Terra è piatta;
 no, è sferica;
 no, è cava;
 no, è un ologramma (quella è la Luna, scusate);
 no, è solo un’elaborazione virtuale generata da un teragigamegasupercomputer…
 e ‘sticazzi, no? 




-Chi comanda il pianeta sono i Rettiliani.
 E anche il gruppo Bilderberg.
 E i Rotschild.
 E mia nonna in cariola dove la mettiamo?






-Esistono gli angeli, chi vede gli angeli, chi parla con gli angeli, chi vive con gli angeli.
 Chi ne ha uno custode, chi due e chi addirittura anche la colf e l’autista (sempre angelici).


-Esistono fantasmi, spiriti, entità nascoste, poltergeist…e chi chiamerai?! Ghostbusters!











-Le scie chimiche sono un’operazione super segreta segretissima per avvelenarci tutti.
 Peccato che “tutti” sappiamo delle pericolosissime scie e quindi l’operazione non è più segreta.
 I super-testoni dell’operazione medesima allora si straincazzano e dicono che non è vero niente,   ma continuano a sparare scie a destra e a manca, così impariamo…


-I vaccini ci fanno ammalare;
 anzi no;
 anzi sì;
 che ne so.
 Io però li ho fatti, sto bene e vaffanculo…







-Il Nuovo Ordine Mondiale prepara il terreno a un futuro oscuro di dominazione che…il resto a piacere.







-I Maya avevano previsto la fine del mondo;
 no, solo quella del calendario;
 no, è sbagliata l’interpretazione della data;
 sì, ma ci ha salvato l’Era dell’Acquario;
 …ma adesso ci penseranno le previsioni degli Incas, dei Toltechi e degli Olmechi, offesissimi perché ignorati.


-Siamo onnivori;
 no, frugiveri;
 no, vegetariani;
 no, vegani;
 non mangiamo più e amen.





-Gli scienziati non ci dicono tutta la verità.
 Le Agenzie Spaziali non ci dicono tutta la verità.
 I Governi non dicono tutta la verità.
 Però noi sappiamo La Verità.



Ecco, cose buttate a caso e giocosamente irriverenti come quelle soprascritte vi danno un’idea di come funziona il mondo della Rete nell’odierno panorama.

In buona sostanza, una sequenza infinta di cazzate che non hanno nessuna possibilità di essere credibili, ma che accolgono schiere di tonti che ci cavillano sopra, scrivono “articoli” a tema e si imbufaliscono pure quando fai notar loro che raccontano stronzate senza-una-prova-che-sia-una.

Il Principi di Dubbio Automatico, ahimè, colpisce tutte quelle persone ancora sane di mente che si ribellano e si infastidiscono alla lettura di tutte queste scempiaggini; come detto, si è innescato un sistema di rigetto che mette in dubbio parecchie notizie, anche e soprattutto quelle che hanno provenienza certificata e magari qualche autorevole firma a sostegno.
È l’apoteosi della follia.

Il Principio di Fiducia Per Forza ha ampiamente dimostrato non solo che l’ignoranza è contagiosa, ma che la stupidità è più prolifica di una squadra di conigli.
Questo Principio, cardine fondante dello sfacelo culturale degli ultimi anni, permette tutto. 


-John Smith è un ex agente governativo che ci svela i piani dell’invasione aliena dei lombrichi volanti di Epsilon Eridani? Gli crediamo!
-Mario Rossi dice che è stato trecento anni nel futuro e ci rivela come saremo? Gli crediamo!
-Un tizio dice che esiste una macchina che vede il passato? Gli crediamo!

Verificare? Cercare? Analizzare? Confutare? Ma per carità, non sia mai!

La Rete elargisce a ogni pico secondo una stupidaggine nuova che dopo cinque minuti avrà migliaia di “like” e “click”, generando uno tsunami nello tsunami di puttanate senza vergogna.

Gioco forza è ovvio che poi il Principio di Dubbio Automatico ti prende anche se non vuoi, porcocane!


Per non parlare della razza di geni per eccellenza, i complottisti.
Questi super-fenomeni si inerpicano sulle alture impervie dell’eufemisticamente improbabile dando vita a tutta una serie di scempiaggini secondo le quali esiste un complotto per ogni caspita di cosa e avvenimento.

Si assiste a una sequenza di notizie martellanti che, a seguirle tutte, si rischia seriamente la sanità mentale.

C’è sempre un false flag.
Nell’attentato, nell’esplosione, nella visita di un Capo di Stato, nelle elezioni, nel referendum, nel lancio del nuovo satellite, in quello che dice Trump, in quello che dice Putin, in quello che dice la Merkel.

Non se ne esce. È sempre tutto in discussione, in dubbio. C’è sempre qualcosa sotto.
La pizza margherita? Non esiste, è una finzione.
La Nazionale è fuori dai mondiali? È un’operazione sotto copertura di agenti infiltrati del governo ombra del “che minchia ne so”.

Capito come siamo messi?

La Rete, la nostra amata Rete che ci ha unito da un estremo all’altro del mondo (piatto, rotondo, conico?) è la madre di tutta una serie di sventure che ancora non abbiamo capito quanto ci costerà in termini di sopravvivenza culturale e intellettiva.


Se il Principio di Dubbio Automatico è una conseguenza fastidiosa, ma comprensibile, il Principio di Fiducia Per Forza è peggio del virus Ebola, del vaiolo e della peste nera. 


Non ci resta che sperare in una sterzata illuminatrice; non dico un ritorno allo studio, non vorrei mai che in troppi stramazzassero per la fatica, ma almeno un pizzico di buon senso.

Mah… Può essere che anch’io sia vittima di una mente telepatica aliena che mi sta fuorviando.
Ma vaff….



Saluti


P.S: i due Principi enunciati nell'articolo sono chiaramente frutto della mia mente "brighella" quindi, fatevi un favore, non andate a cianciare in giro che "esiste uno studio atto a...", ok? Altrimenti nun se n'esce da 'sto ggiro!


Rolando


lunedì 21 maggio 2018

Cronache Dall'Assurdo: Trovare Lavoro, Questa Odissea





 

Non ho voglia di arrabbiarmi. Anzi, facciamo così, la butto sull’ironia, va bene?



Alla fine di questa lettura potrete tacciarmi di razzismo, di estremismo, di populismo becero e ultranazionalista…fate un po’ come vi pare. 

Nel 2015 sono tornato in Italia perché mi mancava casa mia, perché ho una compagna con la quale voglio condividere un po’ di strada insieme e non solo qualche settimana ogni sei, sette mesi.
Bene, torno in patria carico come una molla e pieno di belle speranze e cosa succede?
Trovare lavoro è diventato un calvario. Una vera e propria via crucis.

Se fossi uno che non si mette in gioco, potrei capirlo.
Tipo quelli che “le pulizie no, l’operaio no, il badante no, la fatica no” e ti mettono nelle condizioni di chiedergli: «Ciccio, esattamente cosa cazzo vuoi fare?»

Perché io parto dal semplice concetto che Uno è maggiore di Zero e, pertanto, se lavori e prendi Uno è sempre meglio che stare a casa percependo Zero.
Ma, appunto, ciò non sarebbe un problema se io fossi in grado di prendere Uno facendo qualsiasi cosa.

Il dilemma è che pare che io, e tanti altri come me, si sia portatori di qualche strana ed esotica malattia: non solo non ci vuole nessuno, ma ci stanno pure alla larga!
Il “noi” è riferito a quella fascia di persone che hanno superato i quarant’anni e che non hanno lauree, master, specializzazioni particolari o esperienze come Web Designer, Marketing Specialist, Executive Management, Mobile Software Engineer, Software Developer Web Solution, Business Developer Rapresentative e altre robe che a leggerle ti passa la voglia di respirare.

Di più, l’assurdo si raggiunge con annunci dove è richiesta esperienza pregressa nei campi più disparati, dalla metalmeccanica alla sartoria, ma devi avere meno di trent’anni, essere militesente, automunito, disposto a trasferte, a turni, a questo a quello e anche a quell’altro. Manca solo la prova del DNA e siamo al completo!

Cerchiamo di capirci: quando si dice che per lavorare bisogna averne voglia, mi si trova d’accordo nella misura in cui si conceda la possibilità alla gente di lavorare.
In Italia, adesso, se vuoi trovare un’occupazione è meglio se sei straniero o sotto i trent’anni anni. Se ci sono entrambi i requisiti e sei anche una ragazza di bell’aspetto, tombola!

Nelle agenzie dedicate alla ricerca di lavoro, e ce ne sono un sacco, ti fanno mille domande. Se sei disposto ai turni notturni, agli spostamenti, a fare il pendolare, a provare lavori mai fatti prima, al tempo determinato, al part-time, a contratti a chiamata, a fischio e anche alla schiavitù! E quando tu rispondi una serie infinita di sì che neanche il pentito in tribunale, ti aspetteresti che, porco cane!, un qualsiasi lavoro salti fuori.

No. Non succede, o succede molto raramente, se la tua età dice che sei sopra i quaranta, sei italiano e hai anche un po’ di esperienza in qualche campo.
Certo, non è colpa delle agenzie, loro che c’entrano! La colpa è delle imprese, mi duole dirlo ma è così. E se la colpa è loro è perché un sistema maledetto le ha messe nelle condizioni di potersi muovere in quella direzione.

Si pensi al lavoro in campagna.
Lavoro duro, si sa, raccogliere pere, mele, fragole, ortaggi e altro, ma leggenda (mica tanto) vuole che lì si prendano più stranieri che italiani. Perché accettano paghe da fame e perché, si dice, facciano meno storie. Sarà vero? Intanto noi ultra-quarantenni e cinquantenni siamo qui che aspettiamo.

Io non ce l’ho con gli stranieri, ci mancherebbe, sono stato io stesso immigrato in Germania. Però, mi chiedo che senso abbia non fare in modo che un cittadino italiano possa rimettersi in gioco solo per dar più spazio a gente che arriva da lontano con storie terribili alle spalle (non tutti e non sempre…vediamo di non esagerare).

Nel nostro piccolo anche noi italiani abbiamo brutte storie da raccontare. Certo, non abbiamo un paese in guerra, non siamo alla mercé di malattie, di tiranni sanguinari, ma la fame ce l’abbiamo anche noi.
E bollette da pagare che non puoi pagare e affitti da pagare che fatichi a pagare e servizi non gratuiti che non ti puoi permettere.
Non si pretende il lusso o l’agio ma solamente la sostenibilità. Si deve sempre rischiare di andare in prestito da qualcuno? (Meglio un amico o un parente, ma ci sono, ahimè, pure gli strozzini. E sono tanti.)

Quando sento i ministri del governo (con la minuscola obbligatoria) dire che dobbiamo fare (noi) dei sacrifici, il desiderio è quello di far saltare in aria i palazzi del potere con loro dentro! Ecchecazzo!

Ci riempiono di tasse, alzano i prezzi di qualsiasi cosa e poi, ciliegina amara sulla torta, ci impongono di dare spazio “alla povera gente che scappa da situazioni orribili”.
Fatemi capire, gentili mentecatti del governucolo -di qualsiasi colore e bandiera-  quando succederà che vi occuperete di chi, come me, sarebbe disposto ad andare a spalare merda per portare a casa una misera pagnotta?

Per la miseria, io ci credo ancora in questo paese. Se non ci credessi sul serio non starei qui a sbattermi bussando a tutte le porte disponibili, ma tra un po’ dovrò pensare a prostituirmi se voglio campare (e considerando che è un mercato in espansione, magari farei pure bene!).


La mia non è una voce isolata. C’è un esercito di (quasi) disperati che non chiedono altro che lavorare, solo quello. No, non è vero, ho detto una cazzata e rettifico.
Chiediamo di lavorare e di avere pari trattamento con gli stranieri. In tutto. Perché sembra che ci sia una diffusa credenza secondo la quale loro avrebbero agevolazioni che noi (cittadini italiani nati in loco) non abbiamo. Non vi porto dati, vi porto testimonianze. Pertanto, se qualcuno ha qualcosa da ridire, faccia pure.

Nelle graduatorie delle case popolari tra i primi della lista ci sono stranieri. Nelle graduatorie per gli asili, idem. Tra le assunzioni degli operai generici gli stranieri sono più degli italiani.
Adesso per fare il semplice cameriere (semplice un cazzo, un tempo era un lavoro altamente qualificato e io ne so qualcosa) non serve parlare un italiano perfetto, basta che ti adegui a paghe misere e orari da ricovero in psichiatria (beh, questi ultimi c’erano anche prima, ma almeno prendevi bei soldini).

Le imprese assumono gente sotto i trent’anni (e se stranieri è meglio) perché hanno agevolazioni fiscali, ma non c’è nessuna agevolazione governativa per il semplice fatto di ASSUMERE.
No, dico, non serve una laurea in economia per capire che se la situazione economica del paese è in stallo è perché girano pochi quattrini e se ne girano pochi è perché manca il lavoro e se manca il lavoro la gente non ha soldi da spendere!
Se il governicchio si occupasse del problema lavoro in modo responsabile l’economia capitalista di questo minchia di paese si risolleverebbe in pochi anni.

Ma cosa parlo a fare…
Mi spertico in tempo e parole che non verranno ascoltate.

I sindacati un tempo si preoccupavano dei lavoratori e anche dei disoccupati, mentre oggi il loro solo interesse è quello di prendere la paga a fine mese. Inutile dir di no, le battaglie di un tempo sono finite e si vede benissimo.

C’era una volta il Partito Comunista, il partito dei lavoratori, che malgrado abbia sicuramente fatto stronzate come gli altri, almeno si batteva come un leone per i diritti del lavoro.
Oggi tra i partitucoli presenti non ce n’è nemmeno uno degno di chiamarsi Partito. Sono accozzaglie di furfanti che vivono alle nostre spalle. Anzi, sulle spalle.

Diamo asilo a stranieri che approdano sulle nostre coste e gli offriamo un posto dove stare, una minima diaria giornaliera e ci occupiamo di trovar loro un lavoro e una casa.
Il governo prende i soldi delle NOSTRE tasse e li devolve a questi aiuti umanitari. E io sono d’accordo che si debba aiutare chi è in difficoltà, ma vorrei sapere perché non lo si fa con tutti quelli che si trovano nella medesima situazione.

Avevo detto che non volevo arrabbiarmi, porca trota…
Vabbè, ormai il danno è fatto.

Ti presenti con il tuo bel curriculum, lindo e profumato. Sei sbarbato, pettinato, in ordine e pronto all’esame. I fogli che hai in mano la dicono lunga sul fatto che fino a ieri ti sei fatto un culo così senza tante storie.
Sai fare diversi lavori perché ti sei adattato e li sai fare pure bene. Parli anche una lingua straniera in modo fluente e l’italiano lo snoccioli come un plurilaureato.
Non ti spaventa niente, hai forza lavoro da demolire l’Uomo d’Acciaio (che ti fa una sacrosanta pippa), l’aspetto che porti in visita è giovanile quanto basta da far passare un trentenne per il tuo gemello.
Insomma, hai le carte in regola per beccarti il primo posto disponibile non subito, prima di subito!
E invece, invece…

«Le faremo sapere».
«Lei ha molta esperienza». (Che significa troppa, va a sapere perché).
«Ha un profilo interessante». (Che non significa un accidente, se non “ciao ciao”).
Tutto perché hai 50 anni, sei italiano e si crede (ma non è vero, come devo dirvelo?!) che non accetteresti un lavoro più semplice, qualsiasi cosa voglia dire, e una paga minore.

Ecco. Sfuriata finita.
State bene?
Io sto come prima.
Andate in pace.




Postilla: in due anni e mezzo dal mio ritorno ho trovato due posti, rigorosamente a tempo determinato (la legge è così).
Lavori non remunerati quanto dovuto, ma va da sé che va bene, sempre per il principio che Uno è maggiore di Zero.
Però poi i lavori a tempo determinato non sempre si trasformano in indeterminato se…non sei disposto a fare lo schiavo e/o se non sei disposto a trasformarti in un leccaculo da campionato del mondo.
La sincerità e la schiettezza, ahimè, non pagano più. Anche se sei un bravo lavoratore.

Ri-andate in pace.

martedì 8 maggio 2018

Cronache Dall'Assurdo: L'Ospedale Sant'Anna Di Cona

Questo articolo l'ho pubblicato la prima volta
il 18 marzo 2016 su www.hackthematrix.it
e  successivamente il 20 marzo 2016 su www.simonezagagnoni.it

Ho deciso di riproporlo (con qualche piccola revisione) perché credo
che le Cronache Dall'Assurdo della nostra città siano diverse e variegate,
e vale la pena dare uno sguardo in giro,
senza farsi mancare niente.

Leggerlo richiederà una decina di minuti...e se proprio non vi farà saltare sulla sedia dall'incazzatura, forse riuscirà a strapparvi persino una risata. Amarognola, certo...

PRONTI?



Premessa.

Cosa non va nel Bel Paese? Parecchie cose.
Tra le tante che funzionano a singhiozzo, o addirittura funzionano male, c’è la Sanità Pubblica.

Se da una parte abbiamo una percentuale altissima di personale qualificato e di enorme competenza, dall’altra paghiamo lo scotto con una burocrazia farraginosa, fatta di regole spesso al limite dell’assurdo (basta pensare ai tempi di attesa per visite o esami diagnostici) e parecchie strutture vecchie, decadenti, inadeguate o nuove ma dalle curiose logiche progettuali.

Tanto per cominciare, e sicuro di andarmi a gettare in un ginepraio, voglio parlare proprio di una di queste ultime: il nuovo polo ospedaliero Sant’Anna di Cona (frazione di Ferrara).

I numeri e le informazioni di questo articolo sono andato a cercarmele in rete (fonti Il Fatto Quotidiano, La Nuova Ferrara, Estense.com. Wikipedia, ospfe.it e altri). Se volete fare lo stesso e verificare quanto leggerete in seguito, prego, ne sarò ben contento. Voi un po’ meno.

Per realizzare quest’immensità quantomeno bizzarra, soprattutto per la logistica interna, sono serviti ventuno anni (21). Roba da matti se consideriamo le attuali tecniche di costruzione e la tecnologia di cui disponiamo.

E poi c’è il denaro speso: cinquecento milioni di Euro (500 000 000).
Probabilmente ne servono meno per andare su Marte e tornare in tempo per la cena…

Nota: alcune fonti giornalistiche dicono che la spesa è risultata quasi decuplicata rispetto ai preventivi originali per via delle lungaggini burocratiche, dei processi e di tante altre cose, ma tralasciamo per amor di decenza di elencare le vicende legate agli appalti truccati, alle truffe, alle bustarelle, alle indagini su “chi ha fregato chi, dove, come e chi ha omesso cosa”, senza contare gli abusi d’ufficio e chissà cos’altro, ma concentriamoci sull’utilità della struttura e della sua dislocazione rispetto alla città.


Nelle foto una porzione degli ingressi e del viale davanti all’ospedale.


Dove si trova e come raggiungerlo.

L’Ospedale di Cona è raggiungibile, dalla città, in auto dalla via Comacchio, dalla via Pomposa (di seguito via Palmirano) e dalla superstrada Ferrara-Mare. In chilometraggio, facendo una media tra le scelte possibili, si tratta di circa 7/10 km, ma considerando il traffico che una piccola città come Ferrara è capace di mettere su strada, per raggiungerlo in parecchi orari “topici” ti servono non meno di venti minuti.

Se stai male o hai una emergenza fai in tempo a tirare le cuoia;
se devi andare a trovare un parente, è meglio se parti con mezz’ora abbondante di anticipo;
se si verifica qualche tipo di evento meteorologico appena sopra la media (tipo un bel temporale) puoi star sicuro che ti serviranno trenta minuti di bestemmie e insulti.

Sì, certo, puoi darti una mossa in macchina, ma con la pioggia se sulla superstrada rischi di sbriciolare il semi asse o di volare fuori carreggiata grazie a una asfaltatura indegna, sulle due vie sopracitate la viabilità a due corsie ti costringe a non superare i 40 km/h, bene che vada.

(Fonte - Comune di Ferrara)

Per non parlare dei mezzi pubblici: in autobus è un vero girone dantesco, in termini di tempo, senza contare che oltre un certo orario serale (circa le 21,30) non c’è modo di tornare a casa: o dormi lì, o te la fai a piedi oppure ti affidi a un taxi.

Nota: il costo di una corsa in taxi da e per l’ospedale non ti costa meno di 20 Euro (te lo spacciano per 18 Euro sul sito www.ospfe.it, ma è una cazzata e io l’ho verificato e comunque, se permettete, andare e tornare per 36/40 Euro è un autentico furto).

Poi c’è il treno o, com’era stata chiamata, la Metropolitana di Superficie.
Io non ho ancora verificato personalmente, ma ad oggi, e seguendo le informazioni date anche dai quotidiani, questa linea ferroviaria sarebbe ancora un fantasma.

Quindi, considerando la dislocazione del vecchio ospedale (in piena città), la logica di questo spostamento del blocco ospedaliero sfugge alla mente di chiunque. Non compresi quelli che qualcosa ci devono aver guadagnato, chiaro no?

Vogliamo parlare delle ambulanze? Quando devono correre perché in stato di emergenza e sono costrette a percorrere la via Comacchio o la via Pomposa possono suonare le sirene quanto vogliono, ma il traffico delle auto non si può far sparire improvvisamente e io ho visto di persona le manovre in pieno stile hollywoodiano degli autisti del 118 e anche di altri, come me, che cercavano di “togliersi dalle balle”, per dirla con un francesismo.

Pertanto, anche per questo risulta ovvio che la scelta di spostare l’ospedale fuori dalla città, con queste vie di accesso, non è stata tra le più sensate che le amministrazioni ferraresi abbiano preso.


I posti letto e lo spazio “a perdere”.

Altro aspetto al limite dell’assurdo è la capacità di accoglienza riservata ai degenti.

(Fonte - Comune di Ferrara)
Vista dall'alto del "vecchio" Arcispedale Sant'Anna
di Ferrara.

Tra il “vecchio” e il “nuovo” ospedale c’è una differenza di circa cinquecento (500) posti letto. Un paradosso se si pensa alla grandezza del nuovo polo ospedaliero: il vecchio S.Anna possedeva circa milletrecento (1300) posti, mentre il nuovo supera di poco le settecento (700) unità.

Considerando la cifra pantagruelica spesa per realizzarlo (500 milioni di euro, ribadisco), non serve un fenomeno per capire che con la metà secca si poteva ristrutturare il vecchio ospedale rendendolo un gioiello vivibile, organizzato e super-tecnologico. Con quali strumenti mi permetto una simile affermazione? Con quelli del buon senso, mi sembra lapalissiano.

Innanzitutto c’è il discorso delle dimensioni.
L’ospedale di Cona è qualcosa di mostruoso.
Salta all’occhio immediatamente l’immensità degli spazi interni completamente inutilizzati.

A che pro avere circa 500 posti letto in meno a fronte di un’area (ingresso 1) enorme senza nessuna, e sottolineo nessuna, ovvia utilità? È un ospedale o un centro benessere?

Nelle foto una porzione dell'ingresso 1.
La struttura futuristica visibile nella foto di sinistra è l’area ristoro.


La scala mobile dell’ingresso 1 vista da altra prospettiva.

Qualcuno potrà dire che il vecchio e obsoleto S.Anna aveva corridoi stretti, molti reparti piccoli e stanzoni immensi a sei o otto letti, ma se il cambio doveva avvenire per ottenere corridoi immensi, aree interne giganti e senza scopo, strutture di collegamento (snodi) grandi come miniappartamenti per una riduzione astronomica di posti per i degenti…dov’è il senso?

Certo, bello è bello, anzi, bellissimo, ma la funzionalità e la logica di realizzazione dove sono?

 Nella porzione di foto a sinistra una delle tantissime aree senza nessuna funzione.
Notare la grandezza dell’estintore per avere un’idea delle dimensioni.
Nella porzione di foto a destra una delle tantissime “piazze” interne: incroci tra corridoi e reparti.


Nelle due foto accorpate altre aree (piazze) realmente gigantesche e senza nessuna utilità.


Più ci si aggira tra le aree di questa mega-costruzione più si ha l’impressione che forse dovesse solamente soddisfare l’ego represso di chi l’ha progettata perché, di fatto, tutto manca di senso pratico.

Nella logica commerciale del nostro bel mondo schiavizzato dal capitalistico principio per cui ci devi sempre e solo guadagnare, le città sono state trasformate in alveari di mono e bi locali, mini appartamenti, mono stanze soppalcate.
Tutto per ottimizzare spazi, infilarci più gente e avere maggiori introiti.

Per l’ospedale di Cona si è usato il metro opposto.

La struttura non è solo dispersiva, ma assurda. Lo sfruttamento dello spazio necessario è completamente perso nel nulla.

Un esempio: il reparto degenze della Medicina Interna Universitaria consta di 23 camere a due letti, per un totale di 46 posti. Attorno a questo reparto c’è talmente tanto spazio inutile che la mia mente scevra da ogni tipo di studio progettuale ha subito dedotto che potevano starci tranquillamente almeno altre cinque o sei stanze, senza rendere l’area claustrofobica per degenti e parenti. Sono un fenomeno io oppure ho completamente travisato l’idea alla base di questa progettazione?

Attendo suggerimenti.


La segnaletica interna.

Come ogni ospedale, anche quello di Cona ha tantissimi reparti, laboratori, ambulatori, sale operatorie, aree comuni, aree di ristoro e via dicendo.

Ci sono due ingressi principali. Uno, come ho detto, che sembra quello di un centro benessere di lusso, l’altro, invece, dà l’impressione di essere stato pensato in un secondo momento, quando i soldini ormai erano finiti: di dimensioni umane, spoglio e privo di vivaci picchi architettonici futuristici.

Da entrambi gli ingressi, per dirigersi in qualsiasi punto dell’ospedale, ci si deve affidare a un tipo di segnaletica che ti aspetti di trovare al Cern di Ginevra o al Kennedy Space Center (o in una base spaziale cinematografica).


(Fonte – La Nuova Ferrara) Visitatori davanti al pannello dell’Ingresso 2.
Stanno leggendo l’elenco dei reparti e corrispondente dislocazione con
codice. Altre indicazioni? No.


Ogni reparto e servizio è identificato da un codice composto da numero-lettera-numero (settore-corpo-piano).
Quindi, se devi andare dal Centro Prelievi alla Degenza Cardiologica devi sapere che vai dal 1E0 al 2C3 (dal settore 1 corpo E piano terra al settore 2 corpo C terzo piano).

Hai a disposizione scale e ascensori che, però, se non stai molto attento, ti fanno percorrere centinaia di metri inutilmente.
E c’è anche da considerare che diversi ascensori del primo piano, in alcuni settori, non ti portano a piano terra.

La domanda sorge ovvia: non c’era proprio nessun altro modo di organizzare la segnaletica così che non fosse necessario studiarsi prima la planimetria?

Dico, avete presente la percentuale di anziani sul territorio? Ora, immaginatevi questi poveri malcapitati girare come anime perse alla ricerca di quel reparto o di quell’ambulatorio.

«È una questione di comodità e con un po’ di pratica ci si orienta benissimo». Sostiene una burlona che lavora nell’azienda. Comodità per chi? E poi, pratica? Ma non è che uno ci debba stare per forza qualche settimana per imparare a girare la struttura! Personalmente se non vado all’ospedale sono ben contento! Cos’è, dobbiamo organizzare dei tour informativi?

La questione della segnaletica è stata per me una vera e propria sorpresa. Negativa. La prima volta che sono entrato mi sono sentito dentro a un film di fantascienza.

Abituato da sempre, purtroppo, a girar per ospedali (non solo Ferrara, ma Bologna, Catania, Aosta, Milano, Torino e relative strutture nelle province) ero ancorato al concetto di segnaletica interna classica: ingresso con pannelli a muro dove si indicavano i reparti disposti per i piani e relative frecce di indicazione; corridoi con pannelli informativi e segnalazioni dei distinti reparti bene in vista.

A Cona? Neanche a parlarne. Numero-lettera-numero e buona fortuna.

Qualche cittadino l'ha presa con ironia...

Sia al giga-mega ingresso 1 che allo “spartano” ingresso 2 ci sono cartelloni a muro con gli elenchi di tutti i reparti (no, tutti no. Manca quella dell’oculistica ambulatoriale del 3C0… [almeno così era fino al 2016, ndr]) e relativi codici.

Ma, sorpresa! Mancano le indicazioni degli Snodi! Eh già, ci sono anche gli Snodi. Cosa sono? Bella domanda. Me l’ero posta anche io.

Gli Snodi sono quelle aree enormi di cui parlavo prima dove, se non sai esattamente dove andare, ti perdi nel nulla. Collegano corridoi ad altri corridoi, per andare da un reparto all’altro, senza che esista un sistema di orientamento che dia senso a questa parola (orientamento, of course).

Nelle due foto accorpate...
Spazi, spazi e ancora spazi.
Senza logica pratica. Immensi corridoi, snodi, piazzole.



I servizi e il personale.


Esempio di personale in servizio.
(Fonte - www.ferrara24ore.it del 9/2/12)


Funziona qualcosa in quest’ospedale? Sì, fortunatamente sì. Anzi, possiamo dire che è proprio questo il punto di merito, ma è dovuto al personale, non alla struttura.

La burocrazia ospedaliera è come sempre spinosa e invereconda, ma questo non dipende dal personale amministrativo e medico, ma dalla solita logica non sense tipica della nostra penisola.

Quando ci si reca alle accettazioni dei vari reparti e ambulatori non è colpa del personale se mancano le strutture per evitare le file interminabili (avete presente i numerini che si strappano dalle apposite colonnine? Ecco, cercatele…non ci sono ovunque), così come non si possono addebitare agli operatori le mancanze dovute al non aggiornamento di alcune pratiche.

Si arriva con una domanda “non prevista” e si deve attendere che chi si trova dietro al banco riesca a trovare la risposta giusta sul terminale. Però, nella maggior parte dei casi, ce la fanno e riescono a dare risposte e portare a compimento il servizio all’utente.

Come ho detto, i servizi ci sono. Non sono rapidissimi, certo, ma ci sono. E se non sono veloci il motivo è da ricercare nella mancanza di personale, non nell’incapacità dello stesso.

Del resto i tagli alla Sanità sono continui e non è difficile ascoltare lamentele da parte di medici, infermieri, operatori socio sanitari che fanno turni massacranti perché «siamo solo noi».

Io ho toccato con mano la professionalità di queste persone. Nei reparti, negli ambulatori. La cosa che più mi ha colpito è stata l’assistenza che non fanno mai mancare agli utenti e ai degenti. E quando qualcosa non va nel verso giusto e ci si lamenta, loro cercano di riparare senza battere ciglio.

Certo, potrà capitare che qualche medico, infermiere, OSS non sia abbastanza cortese o disponibile, ma se succede si tratta comunque di rare eccezioni.

In altre strutture della città ho riscontrato una professionalità molto più scarsa quindi, se devo dire che qualcosa funziona in questo labirinto di cemento e cartongesso, quello è il personale.


Il pronto soccorso.

(Fonte – La Nuova Ferrara)
Una porzione delle sale di attesa del Pronto Soccorso.


È un capitolo a parte, delicato e anche fastidioso.

Il servizio del 118, ammettiamolo, fa i miracoli con niente.
Come in ogni maledetto ospedale d’Italia (se avete notizie diverse aspetto di sentirle) le attese al Pronto Soccorso sono lunghissime.

Cona, purtroppo, si fa carico di un territorio vastissimo e pur avendo distribuito in città delle zone di Pronto Intervento (per non far partire tutte le ambulanze dall’ospedale) ancora una volta paga lo scotto dei tagli alla Sanità.

Quando si arriva viene applicato un codice-colore relativo all’urgenza e ci si mette l’animo in pace: se sei un codice verde aspetti, bene che vada, non meno di quattro/cinque ore.

Ho avuto la sfortuna di andarci più volte in un mese e ho visto quasi sempre le stesse facce: operatori, infermieri, medici. Sono pochi e i tempi si allungano a dismisura in giornate topiche (che non sono poche) quando il Pronto Soccorso è pieno fino all’inverosimile.

E mi ripeto: questa gente va ringraziata e encomiata per l’assistenza che dà continuamente. Non possono essere in tre posti diversi contemporaneamente, ma arrivano appena possono.

Altro discorso vale per gli ambulatori di visita. Mi è capitato di essere lì in una giornata dove c’era realmente “l’inferno”: pieno di gente e ambulanze che andavano e venivano di continuo. E gli ambulatori disponibili erano soltanto due. Cosa si può pretendere? La colpa non è loro, ma di chi toglie stanziamenti (il governo e le amministrazioni comunali e regionali).

Nota di aggiornamento: l’ultimo fenomeno che sta colpendo il Pronto Soccorso di Cona è quello dei senzatetto che vanno a rifugiarsi lì per la notte.
Un discorso a parte che affronterò in un altro articolo.


I parcheggi.

(Fonte – La Nuova Ferrara) Notare dove gli utenti sono costretti a parcheggiare.


Questa è una nota dolente quanto un dente cariato.

Il fenomeno che ha progettato l’area parcheggi non ha considerato la miriade di persone che si riversano qui, soprattutto al mattino e nel primo pomeriggio.
Parenti dei degenti, utenti per visite ed esami, personale.

Ci sono momenti in cui si notano auto parcheggiate persino in prossimità delle rotonde, fuori dalle aree adibite alle auto.
Sì, certo, il parcheggio è gratuito per ora (e non lo sarà ancora per molto, ndr).

In più, ma ormai lo avete capito che la parola “logica” non si può applicare a questa struttura, c’è da dire che la segnaletica e la viabilità per e nei parcheggi è assolutamente Senza Senso.
Provare per credere.


Conclusione.

Vi ho fatto un quadro snello e rapido (credetemi sulla parola, ce ne sarebbe da scrivere per un libro intero) delle problematiche legate al nuovo polo ospedaliero di Ferrara.

Non mi sono soffermato sulle carenze strutturali e tecniche presenti e che sono ancora oggetto di discussione, senza contare (come detto all’inizio) tutte le vicende legali sorte durante e dopo l’avvio operativo della struttura.

Rimane il fatto, incontrovertibile, che questo progetto ha delle falle immense.

Chi lo ha progettato aveva le pigne nel cervello, poco ma sicuro, e chi lo ha pensato dovrebbe essere portato davanti a una commissione di cittadini per spiegare il motivo che ha spinto a non considerare di rimettere a nuovo il vecchio e caro ospedale di Corso Giovecca.

Ribadisco: secondo me si poteva ristrutturare con la metà della cifra spesa per quello di Cona, con buona pace dei Super Esperti Del Settore (abbiamo visto…).

Ora, però, ce lo dobbiamo tenere e ce lo dobbiamo pure far piacere.
Che spettacolo…



Rolando Cimicchi